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⌥ La lezione sbagliata

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A Brescia, nel cortile del Mo.Ca – spazio pubblico per le “nuove culture” – sono comparse ventimila strisce di stoffa bianca, ognuna con il nome di un presunto bambino palestinese ucciso a Gaza. L’iniziativa non l’ha organizzata un collettivo politico: l’ha ideata e realizzata il mondo dell’infanzia, educatrici, insegnanti, genitori di decine di nidi e scuole della provincia. Un intero ambiente educativo che ha deciso di portare nel cuore della città una scena che somiglia molto a una commemorazione accusatoria.

Il punto non è ricordare i morti, che è un dovere sacrosanto. Il punto è che questa forma, con quei nomi sventolati come fogli d’accusa, richiama il più antico e lurido riflesso dell’antisemitismo europeo che collega gli ebrei ai bambini morti. È il vecchio schema del blood libel, che muta veste ma non intenzione simbolica. Suggerire cioè che, da qualche parte, c’è un colpevole collettivo. E guarda caso è sempre lo stesso.

Che a far rivivere questo meccanismo siano state proprio persone che lavorano con i bambini rende il tutto ancora più amaro. Non c’è malizia, probabilmente ma l’ingenuità tipica dei tempi: la convinzione che basti un gesto emotivo per sentirsi giusti. Ma un gesto emotivo può anche avvelenare, e qui lo fa. Perché introduce nel discorso pubblico – e peggio ancora nell’immaginario dell’infanzia – un racconto distorto, accusatorio, privo di complessità.

A Brescia non hanno appeso solo strisce di stoffa. Hanno appeso un equivoco antico. E l’hanno fatto proprio coloro che dovrebbero insegnare ai più piccoli come riconoscere, e respingere, i pregiudizi.


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