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La Germania non ha cambiato linea: Israele resta una priorità

Daniela Santus

Tempo di Lettura: 4 min
La Germania non ha cambiato linea: Israele resta una priorità


No, la Germania non ha cambiato idea, come molti quotidiani italiani stanno scrivendo. Se è pur vero che il governo Merz sostiene fermamente la soluzione a due Stati, è altrettanto vero che per i tedeschi il riconoscimento dello Stato palestinese debba avvenire solo come ultima fase di un processo che garantisca a Israele di poter vivere in pace.

Sono chiare le parole del Ministro degli Esteri Wadephul: «La Germania continuerà a sostenere Israele per garantire che Hamas rilasci finalmente i suoi ostaggi, sia disarmato e non abbia più influenza politica nei Territori Palestinesi. Non dovrà mai più rappresentare una minaccia per Israele». E ha aggiunto: «Per la Germania, il riconoscimento di uno Stato palestinese è più probabile che rappresenti la fine del processo. Ma tale processo deve iniziare ora».

A differenza di quei Paesi che si stanno affrettando a fare ad Hamas il regalo più ambito – ovvero il riconoscimento dello Stato palestinese, senza neppure pretendere un chiarimento relativamente ai confini (dal fiume al mare?) e con ostaggi mostrati come trofei ancora in mano – la Germania postpone la possibilità del riconoscimento a condizioni precise, a salvaguardia d’Israele.

D’altra parte, forse può apparire strano ai più, l’amicizia tra Germania e Israele ha radici lontane. Ufficialmente le relazioni diplomatiche tra la Repubblica Federale e Israele vennero stabilite nel 1965. Alcuni ritengono che la motivazione sia da ricercarsi nel tentativo strategico del governo tedesco di «sbiancare» il passato nazista, altri sottolineano il peso del senso di colpa e l’obbligo morale come motore dell’impegno alla riconciliazione. In realtà c’è stato, sin dall’inizio, qualcosa che andava al di là delle riparazioni di guerra.

Tra il 1953 e il 1965, quando Germania e Israele hanno creato i presupposti per stabilire formali relazioni diplomatiche, la Germania occidentale è stato l’unico Paese a fornire aiuti concreti a Israele. Ancor prima degli USA. Pertanto se la motivazione iniziale può ben essere riconosciuta nella necessità tedesca di riabilitazione, è tuttavia evidente che, nel corso degli anni, questa sola interpretazione non riesca a cogliere la forza del cambiamento.

Negli ultimi decenni, diplomatici di entrambe le parti hanno descritto le relazioni tra i due Stati come molto strette: nel suo primo discorso alla Knesset nel 2008, l’allora cancelliera tedesca Angela Merkel dichiarò che la Germania sarebbe sempre stata un partner e un vero amico d’Israele. Il Presidente israeliano Shimon Peres, durante il suo discorso al Bundestag nel 2010, contraccambiò affermando che le relazioni si erano sviluppate in modo tale da consolidare un’amicizia unica.

Si mettano l’animo in pace i vari Stati che vorrebbero tirare Merz per la giacchetta. Il fatto che la sicurezza di Israele sia la pietra angolare della ragion di Stato della Germania – come ribadito da Scholz a fine 2023 e già sostenuto da Merkel nel 2008 – ha una storia decennale e non terminerà ora: durante la Seconda Intifada, cominciata dopo il fallimento degli Accordi di Oslo, Rudolf Dressler, all’epoca ambasciatore tedesco in Israele, scrisse che, dal punto di vista tedesco, una soluzione al conflitto poteva essere raggiunta solo se si fosse garantita la sicurezza di Israele contro il terrorismo. La sicurezza di Israele, aveva detto Dressler, doveva diventare centrale nella ‘ragion di Stato’ della Germania.

E così è stato ed è. Sicurezza per l’esistenza d’Israele e lotta contro l’antisemitismo per la sicurezza della vita ebraica in Germania. Ad oggi la Germania è l’unico Paese in cui, per poter ottenere la cittadinanza, è necessario dichiarare esplicitamente il diritto all’esistenza di Israele. Questo non significa non riconoscere le sofferenze di Gaza, ma comprendere esattamente chi le provoca.


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