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La gerarchia del Male e il mito di Gaza

Paolo Macry

Tempo di Lettura: 3 min
La gerarchia del Male e il mito di Gaza

Il mondo intero è angosciato per Gaza. Da mesi quei 360 chilometri quadrati occupano le prime pagine, sollecitando un’indignazione globale, una pietà planetaria. L’iconografia della guerra nella Striscia, divulgando immagini di vittime, corpi senza vita, bambini denutriti, madri disperate, ha finito per costruire un unicum della sofferenza. Un gorgo eccezionale di disumanità – che infatti viene assimilato al genocidio hitleriano – di fronte al quale ogni dubbio viene rigettato, se non criminalizzato. Eppure, i dubbi sono gravi.

Mai era accaduto nulla di simile dopo la liberazione di Auschwitz il 27 gennaio 1945 e la condanna universale della Shoah. Non che in seguito le opinioni pubbliche non abbiano fatto sentire la propria voce: la guerra del Vietnam, il golpe in Cile, i bombardamenti Nato sulla Serbia, l’invasione dell’Iraq. Ma in quei casi a riempire le piazze erano le contrapposizioni ideologiche e geopolitiche della Guerra fredda, il pacifismo manovrato dall’Unione Sovietica, gli umori terzomondisti e antiamericani della sinistra. Le proteste nascevano cioè dalla politica, erano riconoscibili, limitate a segmenti di opinione, ai militanti e agli “impegnati”.

Mai, invece, un’emergenza geopolitica e umanitaria aveva monopolizzato il resto del mondo, nonostante in questa stessa stagione si consumino altre tragedie: stragi di civili, pulizie etniche, torture, stupri, carestie, espulsioni di massa in Sudan, Somalia, Sahel, Congo, Myanmar, Tibet, Xinjiang. Milioni di vittime civili, milioni di corpi violati. Senza dimenticare l’Ucraina: città rase al suolo, abusi sessuali da parte dei soldati, decine di migliaia di bambini rapiti e deportati in Russia, milioni di profughi costretti ad abbandonare le proprie case.

Ebbene, che senso ha, in questo quadro di carneficina, riservare tutta la pietà del mondo a Gaza? Che senso ha questa terrificante gerarchia del Male che antepone i bambini denutriti della Striscia ai bambini stuprati del Sudan? I bambini uccisi dalle bombe israeliane ai bambini decapitati e bruciati il 7 ottobre? Lo strazio delle madri palestinesi che piangono i figli allo strazio delle ragazze violentate e dilaniate nel pogrom di Hamas? Qual è il metro di giudizio: l’intenzionalità, la quantità, la crudeltà?

Difficile trovare una risposta razionale. Perché Gaza, con ogni evidenza, è ormai diventata il simbolo del martirio e, fatalmente, Israele, il simbolo della violenza. E perché molto spesso l’onda della pietà planetaria per i gazawi e dell’indignazione planetaria per lo Stato ebraico non sembra avere alcuna matrice politica. Pretende di coinvolgere l’umanità stessa di ciascuno di noi, diventa una sorta di imperativo categorico. È un fenomeno prepolitico, che germoglia sul terreno millenario, culturale e spesso inconsapevole dell’antisemitismo.


La gerarchia del Male e il mito di Gaza
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