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La garanzia svizzera di Palazzo Chigi

Aldo Torchiaro

Tempo di Lettura: 3 min
La garanzia svizzera di Palazzo Chigi

Oggi dobbiamo riparlare di Elly Schlein, le cui scivolate su Giorgia Meloni sono la garanzia di lunga durata del governo che dice di combattere. Una garanzia che oggi vale dieci anni ma che, proprio come i temperini svizzeri — come è svizzera Schlein — promettono di estendere la copertura da dieci a venti anni. Ogni volta che l’esecutivo potrebbe essere attaccabile per l’impasse sulle banche o il pasticcio sulle pensioni, ecco la segretaria del Pd correre in soccorso… della premier. E lo fa sempre dallo stesso scivoloso scivolo: il pro-Pal di maniera.

È qui il cuore del problema, la pista di atterraggio di ogni autogol. Schlein brandisce l’etichetta di “estrema destra” contro una coalizione che tiene insieme ex democristiani, ex socialisti, liberali e moderati; poi scende in piazza dietro lo striscione che inneggia alla “resistenza” del 7 ottobre, ammicca alla Flotilla come fosse un festival itinerante, incensa Francesca Albanese come bussola morale e, per non farsi mancare nulla, prende le distanze perfino dalla sinistra israeliana. Risultato: Meloni si mette comoda al centro della scena come leader “responsabile”, mentre l’opposizione appare ideologica, minoritaria, persino anti-italiana quando parla all’estero.

La sequenza è sempre la stessa. Invece di incalzare su dossier concreti — banche, pensioni, fisco, Pnrr — la segretaria trasforma il Medio Oriente in un badge identitario da esibire ai cortei. Fa rumore, fa like, ma regala voti all’avversaria. Intanto da Gerusalemme arriva il promemoria più scomodo: Yair Lapid l’ha detto in Knesset, il centrosinistra europeo — da Roma a Parigi a Madrid — non ha capito nulla di ciò che accade in Israele. E quando a dirtelo non è la destra italiana ma il leader dell’opposizione israeliana, la posa pro-Pal diventa non solo retorica, ma controproducente.

La retorica moralistica, per giunta, è un boomerang. Se definisci “estremo” ciò che l’elettore percepisce come “normale”, l’elettore non cambia idea: cambia canale. Se riduci Gaza a grido di piazza, consegni alla premier il costume più redditizio: quello della governante pragmatica assediata dai professionisti dell’indignazione. E mentre l’opposizione si dilania sul lessico — resistenza, boicottaggio, flotilla — la maggioranza incassa la polarizzazione e allunga il mandato.

Polito e Meli lo hanno scritto in registri diversi ma convergenti: l’opposizione si perde nel simbolico e nel frame identitario, rinuncia al terreno dove il governo è vulnerabile e offre alla premier la passerella del “centro nazionale”. La linea pro-Pal di Schlein non corregge questa deriva: la radicalizza, la rende quotidiana, la trasforma in abitudine.

Ecco perché la metafora della “garanzia svizzera” calza a pennello. Il governo ha il suo service pack preinstallato: ogni bug viene coperto da una patch comunicativa dell’opposizione, puntualmente pro-Pal e orgogliosamente performativa. Giorgia Meloni governerà l’Italia per i prossimi dieci anni, ne siamo certi. E se Elly ci mette del suo, la garanzia svizzera potrebbe estendere Palazzo Chigi a guida FdI per i prossimi venti. Per allora speriamo sia la volta di una nuova leader, capace, possibilmente ancora una donna. Una che ha studiato, però. Ginevra Meloni, per esempio.


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