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La Flottiglia della “Resistenza”: dietro la facciata umanitaria del Global Sumud Flotilla

Andrea Molle

Tempo di Lettura: 5 min
La Flottiglia della “Resistenza”: dietro la facciata umanitaria del Global Sumud Flotilla

Nel linguaggio delle campagne militanti contemporanee, poche parole evocano tanto consenso immediato quanto “resistenza”, “solidarietà” e “diritti umani”. È in questo spazio semantico, costruito con cura per apparire inclusivo e progressista, che si inserisce oggi il progetto del Global Sumud Flotilla: una rete transnazionale di organizzazioni e attivisti che dichiara di voler portare aiuti umanitari a Gaza ma che, in realtà, si muove in un’area grigia dove la mobilitazione civile sconfina nella propaganda politica e nel sostegno implicito a gruppi terroristici.

Un’analisi OSINT diffusa dal Governo di Gerusalemme mostra che la Global Sumud Flotilla non è un episodio isolato, ma parte di una struttura complessa fondata su tre assi interdipendenti. Il primo è quello civile e pubblico, sostenuto da movimenti come March to Gaza e BDS, che forniscono la rete logistica e il capitale umano per proteste nei porti e azioni di pressione contro governi e compagnie di navigazione. Il secondo è quello palestinese-internazionale, che gestisce propaganda, coordinamento e raccolta fondi, adattandosi rapidamente alle contingenze politiche. Il terzo è quello religioso, guidato da realtà come l’Associazione degli Ulema Musulmani d’Algeria, che conferisce legittimità ideologica e morale al progetto, rivestendo le operazioni di un’aura di “resistenza spirituale”. La convergenza di questi assi produce un meccanismo sofisticato che si presenta come umanitario ma funziona come veicolo di legittimazione per reti estremiste.

Figura centrale di questo intreccio è Yahia Sarri, presidente dell’Iniziativa Algerina per il Sostegno alla Palestina e animatore della Sumud Convoy. Le sue dichiarazioni e i suoi contatti mostrano una chiara continuità con l’ideologia dei Fratelli Musulmani. Più volte Sarri è apparso accanto a leader di Hamas – come Zaher Jabarin, Osama Hamdan e Bassem Naim – in conferenze ufficiali in Nord Africa. Analisti militari egiziani definiscono la sua rete un’operazione dei Fratelli Musulmani per creare un corridoio politico e simbolico a sostegno di Hamas. Membro di spicco dell’Associazione degli Ulema Musulmani, Sarri ha anche espresso simpatia per posizioni salafite radicali, arrivando a dichiarare che «le fatwa dello Stato Islamico erano corrette, ma la loro applicazione errata».

Il secondo attore chiave è Khaled Safi, blogger e influencer di Gaza, formatosi come comunicatore digitale e oggi figura di riferimento dell’attivismo mediatico pro-Hamas. Dietro la patina tecnologica delle sue produzioni – podcast, corsi online, account social con centinaia di migliaia di follower – si nasconde una lunga collaborazione con la Shehab News Agency, organo di propaganda fondato a Gaza nel 2007 e identificato come strumento di Hamas. Pur presentandosi come giornalista indipendente, Safi ha più volte glorificato le Brigate al-Qassam e i loro leader, definendo i miliziani caduti «martiri della libertà». In più occasioni ha moderato incontri online con Saif Abu Keshk, portavoce della Global March to Gaza, promuovendo la narrativa della “resistenza popolare”.

Proprio Abu Keshk costituisce il terzo pilastro della rete. Presidente della Coalizione Internazionale contro l’Occupazione Israeliana e coordinatore della Global Coalition for Palestine (Saned), è il principale artefice del passaggio dalla marcia via terra alla nuova flottiglia marittima. Arrestato in Egitto nel giugno 2025 per il suo ruolo nell’organizzazione della marcia, continua a esercitare un’influenza centrale nella pianificazione del Sumud Flotilla, che coinvolge attivisti di oltre ottanta paesi e collabora con sigle come Freedom Flotilla Coalition e Women’s Boat to Gaza. La molteplicità delle organizzazioni collegate – accomunate da una retorica umanitaria e dal linguaggio della “resistenza civile” – serve a costruire una negazione plausibile dei legami con Hamas, ma l’intreccio di ruoli e relazioni rivela un coordinamento che va ben oltre la semplice solidarietà.

Nel ramo europeo emergono Paris Laftsis e Sotiris Lapieris, esponenti della sinistra radicale greca e membri di BDS Greece e Masar Badil. Entrambi hanno partecipato a missioni e conferenze che uniscono retorica anti-imperialista e sostegno aperto alle organizzazioni armate palestinesi. Lapieris, accademico di Panteion ed ex consigliere comunale, ha celebrato pubblicamente l’attacco del 7 ottobre 2023 definendolo «la fuga di Gaza dalla più grande prigione a cielo aperto del mondo» e lodando Hezbollah come «spina dorsale della resistenza mediorientale». Parole che segnano il superamento della linea di confine tra solidarietà e apologia della violenza.

La costruzione di una narrativa “umanitaria” intorno a questi attori non è casuale. Serve a spostare il terreno del confronto dal piano della sicurezza e del diritto internazionale a quello morale ed emozionale, dove l’immagine del soccorso ai civili prevale su qualsiasi analisi delle connessioni operative. La Global Sumud Flotilla si presenta come un dispositivo di soft power militante, capace di mobilitare masse attraverso un discorso di compassione, mentre fornisce – anche involontariamente – copertura ideologica e canali di legittimazione a reti che sostengono la violenza come strumento politico.

Il rischio per l’Europa è evidente. Quando movimenti che si autodefiniscono “per la pace” operano in coordinamento con organizzazioni legate a Hamas o alla Fratellanza Musulmana, il confine tra impegno civile e supporto al terrorismo diventa poroso. La convergenza tra attivismo laico e ideologia jihadista, mediata da linguaggi di diritti e giustizia sociale, rappresenta una nuova forma di guerra cognitiva.

Nel momento in cui altre flottiglie si preparano a salpare, non si tratta di negare il dramma umanitario di Gaza, ma di capire chi realmente guida queste iniziative, quali interessi le finanziano e quale visione del mondo intendono promuovere. Dietro le bandiere della solidarietà, la Global Sumud Flotilla appare sempre più come una macchina di propaganda transnazionale, abile nel mascherare la militanza ideologica dietro il linguaggio dell’aiuto umanitario. Comprenderlo non significa ostacolare la pace, ma difendere la distinzione fondamentale tra compassione e complicità.


La Flottiglia della “Resistenza”: dietro la facciata umanitaria del Global Sumud Flotilla
La Flottiglia della “Resistenza”: dietro la facciata umanitaria del Global Sumud Flotilla