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La fine della civiltà del dialogo

Luisa Ciuni

Tempo di Lettura: 4 min
La fine della civiltà del dialogo

«Che cos’è la tolleranza? È l’appannaggio dell’umanità» scriveva, nel secolo dei Lumi, un Voltaire in vita molto acclamato ma che oggi avrebbe difficoltà a fare un post su Facebook. Non parliamo di TikTok o altri social dove nessuno metterebbe un like a un uomo che proseguiva con: «Non condivido quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo». Figuriamoci.

Finirebbe coperto di insulti, molti lo bannerebbero, altri – più pazienti – gli spiegherebbero per filo e per segno dove si sbaglia e perché, come deve pensare per rientrare nella categoria dei buoni. Non sia mai che a qualcuno venga in mente di deviare dalla vulgata corrente avendo – che ne so, oso dirlo? – un’opinione diversa. Non si può, non si deve. Torquemada sogghigna finalmente soddisfatto.

L’attuale discussione su Israele è la cartina di tornasole del manicheismo che ha investito il dibattito pubblico. Si prosegue su binari paralleli: favorevoli e contrari, come se si trattasse di un derby, con schizzi di fango e veleno verso chi provi a mettere in dubbio le profonde verità che provengono dalla propaganda di Al Jazeera, da Hamas, da notizie mal verificate e probabilmente inverificabili. Subito prese per oro colato e rilanciate sui social con commenti grevi, duri, antisemiti nella forma e nella sostanza.

Gli israeliani uccidono i bambini – ad esempio – stanno attuando un genocidio, distribuiscono derrate alimentari infarcite di droga (chissà poi perché), fanno mancare il latte in polvere ai neonati, non lasciano fare il bagno a mare ai ragazzini palestinesi. Argomenti di ogni tipo, tutti insieme a cuocere in un calderone comune che attira indignati haters. Del tutto refrattari al confronto. Mezza parola di dubbio sulle loro argomentazioni e si passa dalla parte del torto: lebbrosi per sempre, complici della strage degli innocenti.

E pazienza se i dati sugli aiuti umanitari sono diversi, se in acqua si può entrare entro 700 metri dalla riva, se Hamas spara sui volontari che porgono i pacchi ai palestinesi causando morti e feriti, inferocito perché non può più guadagnare sul cibo che sottraeva ai gazawi.

La colpa è sempre di IDF, di Netanyahu, degli israeliani sullo sfondo della tragedia della Nakba, citata come un mantra anche se pochi conoscono davvero la storia. Se sei contrario, sei un indegno neocolonialista, sionista, amico del giaguaro. E non ti venga in testa di dire che Tel Aviv è stata costruita prima della Nakba, quindi che qualche ebreo in Israele c’era da prima del ’48. Se lo fai, ti meriti il peggio. Qualcuno dichiara sui social che dovresti finire nei forni. Ma evidentemente nessuno controlla il tenore dei post: li leggi, allibisci, e dopo qualche giorno lo scritto è ancora lì.

Perché in questa vicenda, che alla base ha una guerra terribile preceduta da un pogrom che avrebbe soddisfatto un atamano cosacco, quella che è saltata del tutto è la civiltà del dialogo. La possibilità di un confronto che non diventi impropero, insulto, denigrazione dell’avversario. Il dibattito è diventato impossibile, e con lui la dialettica, la possibilità di trovare soluzioni usando le meningi e non il fegato. Oppure la tv del dolore e gli argomenti emozionali, per loro natura difficili da confutare. Con la razionalità che soccombe, sepolta dalle urla, e gli argomenti forti che restano inascoltati.

Gli ostaggi del 7 ottobre, ad esempio, la cui liberazione è ferma e che si vuole torni a essere la lenta tortura dell’ultima volta, l’omicidio dei bambini Bibas e della madre, i razzi sulle città, Hamas che respinge qualsiasi trattativa torturando famiglie e sequestrati: tutti questi diventano particolari sfuggenti davanti a un quadro di colpe terribili come avere organizzato un’economia di guerra a Gaza. Come se tenere ferma una nazione per due anni con i giovani al fronte facesse arricchire. Ma che importa? È così per dogma.

Del resto, sono almeno duemila anni che si sa chi sono i colpevoli di qualsiasi cosa: gli ebrei. Attendiamo con ansia la riedizione commentata dei Protocolli dei Savi di Sion…


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