Al Tg1 Maria Gianniti ha raccontato il video dei sei ostaggi (per lei, quattro) assassinati da Hamas a Gaza come se stesse commentando un brutto documentario, non un atto di propaganda costruito sul sadismo. Ha parlato di partite a carte come momenti di svago. Ha detto che avevano perfino potuto festeggiare l’anno nuovo, confondendo Hanukka con il capodanno, dettaglio non irrilevante quando si parla di ostaggi ebrei sequestrati da un’organizzazione jihadista.
Nulla di tutto questo era vero nel senso in cui è stato raccontato. Quei sei uomini erano costretti da Hamas a una sceneggiata studiata a tavolino, sotto minaccia, davanti a una telecamera. Nessun “momento di svago”, nessuna festa, nessuna umanità concessa: solo la messinscena cinica di chi gioca con la vita altrui e prepara il terreno alla propria propaganda.
Il problema non è l’errore fattuale, che pure c’è ed è grave. Il problema è il tono, la cornice, l’adesione inconsapevole – o peggio, automatica – al copione dei carnefici. Raccontare quella sequenza come se fosse un frammento di normalità strappata alla prigionia significa fare esattamente il gioco dei terroristi: trasformare la violenza in contesto, la costrizione in colore, l’orrore in dettaglio marginale.
Ancora una volta una giornalista Rai diventa megafono di Hamas, non per militanza ma per abitudine, per riflesso, per quella forma di anestesia morale che scambia la “neutralità” con l’azzeramento del giudizio. E così i terroristi ringraziano, perché non chiedono di essere giustificati: gli basta essere raccontati come vogliono loro.
La festa nei tunnel
La festa nei tunnel
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