Si sente parlare molto di pace, soprattutto nel mondo cattolico. La cosa è normale, perché la “pace è fondamento del bene comune”, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica. La pace è un bene assolutamente prioritario sia per la persona sia per le nazioni.
Tuttavia, spesso si ha l’impressione che il termine venga usato con una certa superficialità, quasi prescindendo dal contesto sociale e politico in cui viene evocata.
Faccio l’esempio della situazione ucraina. Si invoca sempre la pace, ma si evita di indicare la situazione storica e sul campo, soprattutto si trascura di ricordare che nel febbraio del 2022 la Federazione russa ha invaso col proprio esercito l’Ucraina e ne occupa quasi il 20% del territorio. Così l’auspicio della pace diventa fuorviante e comunque ambiguo: che cosa significa auspicare la pace senza ricordare chi l’ha infranta? Mantenere la situazione attuale, cioè perpetrare un’ingiustizia ottenuta con la violenza? Cessare di rivendicare l’inviolabilità della sovranità nazionale, cioè di un principio fondamentale del diritto internazionale?
Non sono un cultore della “pace perfetta”, che non esiste. Proprio perché va sempre tenuto presente il contesto, credo che per ottenere il maggior bene possibile bisogna anche sacrificare qualcosa all’ingiustizia. Ma un conto sono coloro che devono stipulare la pace, i diplomatici e i politici; un altro conto è invece il compito di chi deve informare e indicare i valori relativi al tema della guerra e della pace.
Proprio nel mondo cattolico circola un’idea pacifista della pace che non è pacificante, ma soltanto ideologica. Questa ideologia non affronta mai il tema del diritto alla legittima difesa, per cui ancora oggi non sappiamo se gli ucraini avessero o no il diritto di resistere all’invasione e se i paesi occidentali abbiano o no il diritto-dovere di aiutarli anche militarmente. Qui la situazione si complica, perché c’è anche un “pacifismo nazionalista” che afferma che non sarebbe moralmente corretto orientare degli aiuti verso l’Ucraina, sottraendoli alle necessità degli italiani.
Allora, credo sia bene fare un po’ di chiarezza, ricordando che la Chiesa non è una realtà dove ciascuno possa far passare le proprie opinioni come il pensiero cattolico, ma è una società che si fonda su un Magistero. L’espressione più alta di questo Magistero è il Catechismo della Chiesa Cattolica, che dedica parti importanti al tema della pace.
In particolare, nel caso che qui ci interessa relativamente al conflitto ucraino, al n. 2309 indica le condizioni per cui un governo è legittimato a esercitare il “diritto alla legittima difesa con la forza militare”. Semplificando, le condizioni previste sono quattro: gravità del danno subito, avere provato altri mezzi meno cruenti, fondata speranza di successo, non provocare un male più grave.
Sarebbe auspicabile che il dibattito sulla guerra ucraino-russa, almeno quando avesse a che fare con il mondo cattolico, tenesse presenti queste condizioni, che tra l’altro mi sembrano molto ragionevoli, comprensibili anche alla ragione umana, prima e a prescindere dalla fede. Con una postilla molto significativa: “la valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune”, cioè nel nostro caso al governo che ha subito l’invasione.
La concezione cristiana della pace
La concezione cristiana della pace

