In Israele è conosciuta come “barriera di sicurezza” o “barriera antiterrorismo”; i palestinesi la chiamano “muro dell’apartheid”, mentre i media internazionali parlano più spesso di “muro di separazione”. In realtà, si tratta di una struttura mista, composta in gran parte da recinzioni elettroniche e trincee (circa l’85%), e solo per il restante da tratti murari in cemento, soprattutto nelle aree urbane sensibili.
La costruzione è iniziata nel 2002, in piena Seconda Intifada, un periodo segnato da un’ondata di attentati suicidi palestinesi all’interno di Israele, molti dei quali partivano dalla Cisgiordania. L’obiettivo dichiarato del governo israeliano era uno solo: fermare il terrorismo.
Prima del muro: un’ecatombe quotidiana
Negli anni 2000–2003, il numero di attentati suicidi fu impressionante: solo nel 2002 si contarono suicidi kamikaze quasi ogni settimana, con un bilancio di circa 220 israeliani uccisi in un solo anno, tra autobus, ristoranti e centri commerciali. Complessivamente, tra l’inizio della Seconda Intifada (fine 2000) e metà 2003, più di 600 israeliani persero la vita in attentati, molti dei quali partirono da aree adiacenti a dove sarebbe poi sorta la barriera.
Dopo la costruzione: crollo degli attentati
Dopo il completamento dei primi tratti della barriera (soprattutto a nord della Cisgiordania), il numero di attentati crollò drasticamente. Tra il 2003 e il 2006, gli attentati suicidi si ridussero a una dozzina, e le vittime israeliane passarono da oltre 200 l’anno a poche decine complessive in tre anni. Nel 2004, ad esempio, le vittime israeliane da attentati suicidi furono appena 13, contro le 220 del 2002.
Il dato è inequivocabile: la barriera, pur accompagnata da altri strumenti (intelligence, arresti mirati, operazioni militari), ha svolto un ruolo determinante nel ridurre la capacità delle organizzazioni terroristiche di colpire Israele dall’interno della Cisgiordania.
Una barriera discussa
Il tracciato, tuttavia, non segue il confine riconosciuto del 1967, ma penetra in profondità nel territorio cisgiordano, inglobando insediamenti israeliani e separando villaggi palestinesi dai loro terreni. Per questo motivo, è stato oggetto di forti critiche internazionali e di una sentenza non vincolante della Corte Internazionale di Giustizia, che nel 2004 ne dichiarò l’illegalità nelle porzioni costruite oltre la “Linea Verde”.
Israele, da parte sua, sostiene che si tratta di una misura di autodifesa, temporanea e rimodulabile, nata non da motivi ideologici, ma da una necessità imposta dal sangue versato.
La barriera difensiva israeliana: protezione, polemiche e numeri La barriera difensiva israeliana: protezione, polemiche e numeri