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Kill Bibi: souvenir d’odio per ribelli da spiaggia

Andrea Fiore

Tempo di Lettura: 3 min
Kill Bibi: souvenir d’odio per ribelli da spiaggia

Siamo quotidianamente subissati da immagini che si spacciano per “arte di protesta”. Slogan, grafiche e disegni che invadono social e magliette, venduti come ribellione creativa. Ma diciamolo chiaramente: non è arte, è propaganda tossica, fatta per fomentare rabbia, non per stimolare pensiero.

Questi pseudo-artisti non hanno un punto fermo. Saltano da un tema all’altro, uniti solo da un rancore generico contro ogni forma di autorità. Un giorno attaccano le forze dell’ordine per Genova 2001, il giorno dopo inneggiano alla morte di un leader politico, poi si scagliano contro Israele, contro il militarismo e il sionismo con slogan da borsa di tela. È opportunismo visivo, non impegno. Si usano tragedie vere per vendere una ribellione finta.

La violenza non viene analizzata, viene glorificata. Si rende “cool”, digeribile, da spiaggia. Il telo “KILL BIBI” ne è l’esempio: si prende un film sulla vendetta e lo si trasforma in un gadget da ombrellone, inneggiando alla morte di Benjamin Netanyahu. È disgustoso. L’odio diventa souvenir, e chi lo compra si sente forte, ribelle, ma in realtà sta solo alimentando isteria. Non si invita a pensare, si invita ad accodarsi.

Il meme Captcha “seleziona tutte le caselle con i bastardi” è una truffa emotiva. Si impone l’odio come prova di umanità. Non si lascia spazio alla complessità, si forza il pubblico a scegliere tra odio e esclusione. È manipolazione, non provocazione.

Questa grafica non è arte controversa. È propaganda brutta, infantile e regressiva. La vera arte sfida, interroga, apre dubbi. Qui invece si indica chi odiare e si cucina la violenza come se fosse una polpetta avvelenata.

L’odio, quando è così vuoto e facile, non merita il nome di arte. Merita solo di essere condannato. E chi lo spaccia per cultura, spaccia sostanze tossiche.

La propaganda mirata, come il telo “Kill Bibi”, è veleno concentrato: un gadget che trasforma l’odio in adesione politica, un souvenir che normalizza la violenza contro un nemico preciso. Ma la propaganda generalista è ancora più subdola: non ha un bersaglio, ha un metodo. Diffonde rancore a prescindere, lo rende moda, lo confeziona come ribellione prêt-à-porter.

La prima incita, la seconda corrode. Una uccide simbolicamente, l’altra svuota culturalmente. In entrambi i casi, non è arte: è veleno visivo. E chi spaccia odio come cultura, spaccia regressione.

E le vittime di questo magheggio, sono proprio quelle persone che non sanno nemmeno dove si trovi la Striscia di Gaza sulla carta geografica: volutamente trasformati in consumatori di slogan, perchè la verità e la consapevolezza fanno paura.


Kill Bibi: souvenir d’odio per ribelli da spiaggia
Kill Bibi: souvenir d’odio per ribelli da spiaggia