Nel mezzo di un dibattito che oscilla tra occupazione, annessioni e ipotesi di “trasferimenti” di popolazione, un nuovo sondaggio presentato alla conferenza Magen Abraham della Coalizione per la Sicurezza Regionale racconta un’altra Israele: prudente sulle avventure territoriali, concentrata su alleanze e normalizzazione, sorprendentemente compatta su un piano di uscita dalla guerra che intreccia sicurezza e diplomazia.
Il dato più forte è netto: il 78 per cento degli intervistati sosterrebbe il piano proposto da Donald Trump, che prevede la fine delle ostilità, la restituzione di tutti gli ostaggi, il disarmo di Hamas, la normalizzazione con l’Arabia Saudita, un percorso di separazione dai palestinesi e la costruzione di una coalizione regionale contro l’Iran. Un’agenda di rottura rispetto alla retorica dell’occupazione prolungata e delle annessioni unilaterali.
La fotografia che emerge è coerente lungo più assi. Sul fronte delle relazioni regionali, il 72 per cento giudica prioritario preservare gli Accordi di Abramo e approfondire i legami con i paesi arabi moderati; solo il 13 per cento dissente. Dopo cinque anni, il 67 per cento valuta quegli accordi come un successo che ha rafforzato sicurezza, economia e status di Israele. Stessa attenzione verso Riyadh: il 66 per cento sostiene la normalizzazione con l’Arabia Saudita entro l’anno e il 78 per cento è convinto che una coalizione regionale moderata ridurrebbe l’influenza iraniana.
Di riflesso, la maggioranza vede rischi concreti in una strategia di forza a tempo indeterminato dentro Gaza e in Cisgiordania. Il 57 per cento teme che l’occupazione della Striscia danneggerebbe i rapporti con i partner arabi e indebolirebbe gli Accordi di Abramo. Sull’eventuale annessione della Cisgiordania il 58 per cento esprime preoccupazione per le ricadute diplomatiche: un’avvertenza che converge con i segnali arrivati dagli Emirati e da altri attori arabi, contrari a mosse unilaterali. Non stupisce allora che metà del campione giudichi l’attuale linea del governo come un fattore di allontanamento dai paesi moderati; solo il 28 per cento la vede come un passo di avvicinamento.
Gaza resta il banco di prova immediato. Alla domanda sul “dopodomani”, il 43 per cento indica una soluzione regionale per sostituire Hamas e smilitarizzare la Striscia: un approccio multilaterale che chiama in causa attori arabi e cornici di sicurezza condivise. Il 17 per cento propende per un’occupazione con governo militare israeliano. Un significativo 29 per cento indica invece la migrazione dell’intera popolazione: opzione estrema che rivela quanto il trauma del 7 ottobre continui a produrre risposte polarizzate, ma che non diventa maggioranza neppure dentro un’opinione pubblica ferita.
Colpisce la distanza tra i desiderata di sistema e la fiducia nella guida politica. Attila Schömpelby, co-fondatore della Coalizione per la Sicurezza Regionale, legge nei numeri due movimenti simultanei: il cambiamento delle posizioni verso la questione palestinese dopo l’attacco di Hamas e, insieme, il bisogno di una visione credibile di uscita dal vicolo cieco. È «deplorevole» che molti israeliani oggi si fidino più del presidente americano che della leadership nazionale; ma è anche un segnale: quando l’alternativa è chiara e articolata, il pubblico si ricompatta attorno a una strategia che unisce deterrenza, liberazione degli ostaggi e architettura regionale.
Il sondaggio, condotto da iPanel su un campione rappresentativo di ebrei e arabi israeliani con livello di confidenza del 95 per cento, non dice tutto ma indica la direzione. Israele, in larga maggioranza, non cerca un’eterna gestione militare del conflitto né un’espansione territoriale destinata a incendiare i fronti. Cerca una via d’uscita che tenga insieme sicurezza interna, ritorno degli ostaggi, contenimento dell’Iran e legami strutturali con il mondo arabo moderato. In una parola, normalità. Che oggi passa più da Abu Dhabi e Riyadh che da nuove mappe sul terreno. E che chiede alla politica israeliana di scegliere: perseverare su una linea che isola, oppure trasformare la crisi in un punto di svolta, allargando gli Accordi di Abramo e ricucendo il tessuto regionale prima che si strappi del tutto.
Israele guarda alla normalizzazione: il 78% sostiene il piano Trump Israele guarda alla normalizzazione: il 78% sostiene il piano Trump