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Israele–Libano, qualcosa finalmente si muove

Shira Navon

Tempo di Lettura: 3 min
Israele–Libano, qualcosa finalmente si muove

Non succedeva da decenni. Quando è arrivata la conferma – un emissario israeliano autorizzato a sedersi accanto a una delegazione libanese – molti hanno pensato a un errore di comunicazione. E invece no: stavolta è tutto vero. Netanyahu ha ordinato di aprire un canale politico, non militare, con Beirut. Un gesto misurato, certo, ma che rompe un’abitudine radicata: fra Israele e Libano non è mai esistita una vera “normalità” diplomatica, solo tregue, incidenti, sospensioni e parentesi armate.

La risposta libanese è stata formale, quasi rigida. Il presidente Joseph Aoun, dopo aver concordato le mosse con Nabih Berri e il premier Nawaf Salam, ha scelto una figura di peso: l’ex ambasciatore Simon Karam guiderà la delegazione libanese nella riunione di Naqoura. È il tavolo tecnicomilitare nato dopo il cessate il fuoco del novembre 2024 e supervisionato dagli Stati Uniti. Un luogo finora pensato per contenere, non per costruire. Oggi potrebbe diventare altro.

Il contesto, però, è tutt’altro che sereno. Hezbollah continua a far filtrare messaggi oscillanti tra il velato e la minaccia aperta. Hussein al-Nemer, uno dei suoi quadri, ha ribadito che la guerra «non è cercata», ma che le armi non verranno mai deposte. Una formula che chi segue il Libano conosce bene: rassicurare senza arretrare di un millimetro. Nel frattempo, le violazioni del cessate il fuoco si moltiplicano e il sud del Paese vive in un limbo sospeso tra calma apparente e nervi scoperti.

Gli Stati Uniti, invece, spingono nella direzione opposta: consolidare, almeno temporaneamente, un quadro nuovo. L’ambasciatore americano all’ONU Mike Waltz parla apertamente della necessità di evitare il solito circuito infernale Hamas–Israele–stallo e definisce l’UNRWA «un braccio operativo di Hamas», frase che a Beirut non è passata inosservata. Washington sta sondando Paesi come Indonesia e Azerbaigian per una possibile forza internazionale di stabilizzazione. Non un miracolo politico, ma un tentativo. E in Medio Oriente i tentativi valgono già metà della partita.

Il vero dato storico sta altrove: per la prima volta Israele e Libano inviano insieme rappresentanti civili, non solo militari. È uno scarto minimo, e proprio per questo significativo. Diplomatici, economisti, tecnici che lavorano allo stesso tavolo non significano pace immediata, ma possono aprire crepe in un muro considerato impenetrabile. Una cooperazione economica – ricerca energetica, infrastrutture, commercio transfrontaliero – sarebbe un vantaggio enorme per entrambi i Paesi. E Hezbollah lo sa: ogni passo, infatti, sarà scrutinato al millimetro.

Questa storia potrebbe concludersi in un nulla di fatto, come tante nella regione. Ma potrebbe anche diventare il primo tassello di una normalità futura, fragile e provvisoria quanto basta per cambiare l’aria lungo la frontiera nord. In Medio Oriente le svolte non annunciano mai il proprio arrivo: si presentano così, in silenzio, con un emissario che attraversa un confine che ufficialmente non esiste.


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