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Israele, l’Aia e il caso UNRWA: la giustizia che divide

Shira Navon

Tempo di Lettura: 3 min
Israele, l’Aia e il caso UNRWA: la giustizia che divide

La Corte internazionale di giustizia dell’Aia ha emesso un parere che obbliga Israele a cooperare con le agenzie delle Nazioni Unite impegnate nei territori palestinesi, con un riferimento diretto all’UNRWA. È un parere consultivo, ma dal peso politico enorme: per la prima volta l’organo giudiziario più alto del sistema ONU chiede a Israele non soltanto di non ostacolare gli aiuti, ma di favorirli attivamente, anche attraverso canali terzi come la Croce Rossa.

Il nodo principale riguarda la posizione israeliana. Negli ultimi mesi il governo di Gerusalemme ha vietato l’attività dell’UNRWA sul proprio territorio, sostenendo che una parte dei suoi dipendenti sia legata a Hamas e che l’agenzia non operi in modo neutrale. La Corte, con undici giudici favorevoli, ha però ritenuto che Israele non abbia fornito prove sufficienti per dimostrare un’infiltrazione sistematica del movimento terroristico. Da qui la richiesta di cooperazione: se Israele non è in grado di assicurare un sistema autonomo di distribuzione degli aiuti, dovrà consentire a organizzazioni internazionali o a Paesi terzi di farlo.

Per lo Stato ebraico si tratta di una decisione controversa, percepita come un ulteriore passo nella campagna di delegittimazione giudiziaria che, secondo molti israeliani, attraversa ormai tutte le sedi internazionali. Le critiche interne sono state immediate: come può la Corte ignorare le prove raccolte dai servizi di sicurezza israeliani e le inchieste giornalistiche che documentano da mesi la complicità di membri dell’UNRWA con Hamas? È la domanda che domina il dibattito a Gerusalemme.

Eppure, al di là della disputa legale, la decisione tocca una questione più ampia. L’ONU continua a considerare l’UNRWA un attore indispensabile per la sopravvivenza di oltre due milioni di persone a Gaza. Israele, dal canto suo, vede nell’agenzia una struttura politicizzata che perpetua lo status di rifugiato e alimenta una narrativa anti-israeliana. Due visioni difficilmente conciliabili: l’una centrata sulla priorità umanitaria, l’altra sulla sicurezza.

La Corte sceglie di privilegiare la prima, con il rischio di sottovalutare la seconda. Ma il punto, forse, non è solo giuridico. Dietro il linguaggio del diritto internazionale si gioca un confronto più profondo: quello tra la legittimità di Israele come Stato sovrano e il potere delle organizzazioni internazionali di limitarne le scelte in nome dell’emergenza umanitaria.

Nel contesto di una guerra che ha già ridisegnato i confini morali e politici del Medio Oriente, la decisione dell’Aia diventa un simbolo: Israele giudicato non per l’uso delle armi, ma per la gestione della fame e dei soccorsi. È un tribunale che non condanna, ma incide. E che, ancora una volta, spacca l’opinione pubblica mondiale in due visioni opposte di cosa significhi, davvero, responsabilità.


Israele, l’Aia e il caso UNRWA: la giustizia che divide
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