Il viaggio del segretario di Stato americano Marco Rubio in Israele potrebbe segnare un punto di svolta negli equilibri mediorientali. Secondo quanto riportato da Axios, Rubio discuterà con il premier Benjamin Netanyahu la possibilità di un’annessione israeliana di parti della Cisgiordania occupata. L’opzione viene valutata come risposta all’annunciato riconoscimento dello Stato di Palestina da parte di numerosi Paesi occidentali, previsto entro la fine del mese durante l’Assemblea generale dell’Onu.
Per Netanyahu il nodo politico è chiaro: capire se l’amministrazione Trump, probabile regista della linea diplomatica americana nei prossimi mesi, sosterrebbe un’annessione nonostante il rischio di incrinare gli Accordi di Abramo. Gli Emirati Arabi Uniti hanno già lasciato intendere che una mossa unilaterale da parte di Israele potrebbe portare a un loro ripensamento, minando così uno dei più significativi successi diplomatici degli ultimi anni.
Rubio, diretto a Gerusalemme, ha tracciato la sua agenda in un post su X: «Il mio obiettivo sarà garantire il ritorno degli ostaggi, trovare il modo di assicurare che gli aiuti umanitari raggiungano i civili e affrontare la minaccia rappresentata da Hamas. Hamas non può continuare a esistere se l’obiettivo è la pace nella regione». Parole che collocano il cuore del viaggio americano nella sicurezza israeliana e nella gestione dell’instabilità generata dal terrorismo palestinese.
Ma mentre Israele e Stati Uniti stringono i ranghi, il fronte arabo sembra muoversi verso una logica di contrapposizione. L’Egitto, per voce dell’esperto militare Samir Farag, ha rilanciato l’idea – avanzata già nel 2015 dal presidente Abdel Fattah al Sisi – di una forza araba congiunta, strutturata sul modello Nato. Questa unità dovrebbe rispondere collettivamente a eventuali attacchi contro i Paesi membri e ridurre la dipendenza strategica dal supporto americano. Secondo il piano, l’Egitto contribuirebbe con almeno 20mila militari, più di ogni altro Paese, e assumerebbe la guida operativa della nuova alleanza.
Il messaggio politico è trasparente: rafforzare un blocco militare arabo per bilanciare Israele. Farag è stato esplicito: «L’aggressione israeliana contro il Qatar ha rivelato quanto sia importante per noi questa forza. La speranza degli arabi risiede nell’unità e nel non fare affidamento sugli Stati Uniti o su qualsiasi altra potenza». Una dichiarazione che mina il sistema di alleanze costruito negli ultimi anni e che rischia di polarizzare ulteriormente il panorama regionale.
In Israele la proposta egiziana viene percepita come un colpo duro. Il leader dell’opposizione Yair Lapid ha reagito duramente: «La formazione di una forza araba congiunta è un duro colpo agli accordi di pace, aggravato dal voto favorevole alla creazione di uno Stato palestinese da parte della stragrande maggioranza dei nostri alleati». Lapid non ha risparmiato accuse al governo Netanyahu, reo a suo dire di aver compromesso la posizione internazionale del Paese: «Una combinazione letale di irresponsabilità, dilettantismo e arroganza ci sta distruggendo agli occhi del mondo. Dobbiamo sostituirlo prima che sia troppo tardi».
Le parole di Lapid si innestano sul nuovo orientamento della comunità internazionale. L’Assemblea generale dell’Onu ha infatti adottato una risoluzione che chiede la creazione di uno Stato di Palestina libero dal movimento islamista Hamas. Una decisione che riflette la pressione crescente di un fronte diplomatico intenzionato a legittimare la causa palestinese pur mantenendo formalmente le distanze dal terrorismo.
Eppure, gli stessi sviluppi dimostrano come la faglia politica rimanga profonda. Israele percepisce il riconoscimento di uno Stato palestinese in questa fase storica come una legittimazione indiretta di Hamas e dei suoi alleati regionali. Non a caso, nei giorni scorsi un attacco israeliano a Doha ha ferito il dirigente politico di Hamas Khalil al Hayya e altre figure di spicco del movimento. L’episodio, riportato dall’emittente israeliana Kan, segnala la volontà di Tel Aviv di colpire la leadership del gruppo anche oltre i confini della Striscia.
La partita è aperta e il viaggio di Marco Rubio sembra essere, per Bibi Netanyahu, un preavviso di sfratto. L’azione in Qatar – un cumulo di errori, a quanto pare – potrebbe costare molto cara a chi oggi tiene le redini del governo israeliano.
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