Nell’ultimo anno, mentre l’attenzione pubblica italiana oscillava tra emotività, militanze e slogan, la politica estera ha continuato a fare i conti con un dato che non cambia: Israele è un attore strategico per l’Italia e per l’Europa. Non per ragioni ideologiche, ma per una combinazione di sicurezza, tecnologia avanzata, industria della difesa ed equilibri energetici che rende impossibile immaginare il Medio Oriente senza guardare a Gerusalemme.
Per l’Italia, Israele è anzitutto un partner di alta tecnologia militare. La cooperazione nella difesa – dai sistemi radar all’addestramento congiunto, fino alla cyber security – è diventata una componente essenziale della modernizzazione delle Forze Armate italiane. L’industria nazionale collabora con società israeliane su tecnologie che difficilmente potremmo acquisire in tempi rapidi altrove. In un mondo in cui il vantaggio qualitativo prevale sul numero delle piattaforme, la partnership con Israele consente all’Italia di restare competitiva, pienamente integrata nel mercato NATO e pronta a rispondere alle minacce che vanno dal terrorismo alle guerre ibride.
Ma la rilevanza strategica va ben oltre il settore militare. L’Italia è un Paese fragilmente esposto sul piano energetico, e il Mediterraneo allargato è tornato a essere il teatro dove si definiscono gli equilibri del nostro approvvigionamento. Israele, grazie ai giacimenti Leviathan e Tamar e ai progetti di interconnessione del corridoio est-mediterraneo, rappresenta un tassello essenziale per diversificare le forniture e ridurre la dipendenza da attori politicamente instabili o apertamente ostili. Non sorprende che molti Paesi europei guardino oggi a Gerusalemme come a un partner energetico affidabile in una fase di transizione complessa.
Tutto ciò richiede un approccio realistico e coerente al Medio Oriente. L’Italia non può permettersi né un posizionamento settario né una postura di inerzia diplomatica. Da un lato, la tutela della sicurezza di Israele è pienamente compatibile con la nostra collocazione euro-atlantica; dall’altro, la stabilità regionale impone di mantenere canali aperti con gli Stati arabi moderati, sostenere i processi di normalizzazione e adottare una linea chiara sul dossier palestinese, fondata su pragmatismo e rifiuto di qualunque ambiguità verso il terrorismo.
Essere equilibrati, però, non significa essere equidistanti. Significa riconoscere la realtà: Israele è uno dei pochissimi Paesi dell’area con cui l’Italia condivide interessi strategici concreti, possibilità di cooperazione industriale avanzata e una visione della regione compatibile con quella europea. È anche un attore che – piaccia o meno – orienta la postura degli Stati Uniti e degli alleati nel Mediterraneo allargato, che resta la priorità primaria per la sicurezza nazionale italiana.
In una fase in cui l’Europa riscopre la necessità della difesa comune e l’Italia punta a rafforzare la propria industria militare, la partnership con Israele non è un accessorio: è una componente strutturale. Ignorarlo per timori ideologici o per timore del dibattito pubblico significherebbe rinunciare a una leva cruciale per la nostra sicurezza e per la nostra autonomia strategica.
Il realismo, oggi, è disarmante nella sua semplicità: il destino del Mediterraneo passa anche – e sempre più – da Israele. E Roma non può permettersi di guardare altrove.
Israele, la leva strategica dell’Italia. Perché il Medio Oriente oggi va guardato con realismo
Israele, la leva strategica dell’Italia. Perché il Medio Oriente oggi va guardato con realismo

