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Israele. I numeri che non piacciono (agli antisemiti)

Paolo Montesi

Tempo di Lettura: 3 min
Israele. I numeri che non piacciono (agli antisemiti)

C’è un dato che fatica a passare nei circuiti dell’indignazione selettiva, e forse proprio per questo merita di essere guardato con una qualche attenzione: mentre Israele è sotto pressione militare, diplomatica e mediatica come poche altre democrazie occidentali, la sua economia cresce più di tutte quelle dell’area OCSE. Non lo comunica un ministero israeliano né lo conclude un think tank di Tel Aviv. Insomma, non si tratta di un’operazione di maquillage per apparire migliori ma è la certificazione dell’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico che riunisce i principali paesi economicamente avanzati e una delle fonti internazionali più solide e meno sospettabili di simpatie ideologiche.

Secondo le previsioni pubblicate a inizio dicembre, Israele dovrebbe registrare una crescita del 4,9 per cento nel 2026 e del 4,6 per cento nel 2027. Numeri che lo collocano nettamente al primo posto tra i paesi membri dell’organizzazione. Per capire l’ordine di grandezza basta un confronto: la media OCSE oscillerà tra l’1,7 e l’1,8 per cento nello stesso periodo. A livello globale, la crescita resterà inchiodata tra il 2,9 e il 3,2 per cento. In sintesi: Israele corre mentre gli altri arrancano.

Il dato diventa ancora più interessante se si guarda al reddito pro capite. Nel 2025 il PIL per abitante israeliano toccherà quota 60.010 dollari. Più della zona euro, più dell’Unione europea nel suo complesso, più dell’intero continente europeo. E soprattutto sempre più vicino alla media del G7, ferma a circa 66.000 dollari. Non si tratta di un recupero da una posizione marginale, ma di una crescita che parte da un livello già alto e continua a salire. Per molti osservatori si tratta di un’anomalia, per i numeri di una realtà, magari sgradita agli odiatori di professione, agli antisemiti di tutte le latitudini e grado.

Anche sul fronte dell’inflazione il quadro è tutt’altro che emergenziale. L’OCSE prevede un rientro al 2,4 per cento nel 2026 e il raggiungimento dell’obiettivo del 2 per cento l’anno successivo, grazie alla ripresa dei consumi e alla stabilizzazione post-bellica. Altro che economia al collasso, altro che Stato tenuto artificialmente in piedi.

Questi dati non piacciono perché rompono una rappresentazione comoda: quella di Israele come paese isolato, in crisi permanente, sostenuto solo da propaganda e alleati compiacenti. Come diceva quello: ognuno può avere le proprie opinioni ma non i propri fatti. E i fatti qui sono cifre che raccontano una società che, pur colpita duramente, continua a produrre, innovare, attrarre investimenti e generare ricchezza. E lo raccontano senza bandiere, senza slogan, senza bisogno di essere difesi da nessuno. Il problema, per molti, non è Israele. È la realtà quando non collabora.


Israele. I numeri che non piacciono (agli antisemiti)
Israele. I numeri che non piacciono (agli antisemiti)