Dietro la formula prudente del “muro di sicurezza” si muove una delle partite strategiche più delicate del Mediterraneo orientale. Israele, Grecia e Cipro stanno rafforzando un triangolo di cooperazione che ha un obiettivo dichiarato e uno implicito: dissuadere la Turchia di Recep Tayyip Erdogan dal trasformare una competizione regionale in un confronto diretto. Non un’alleanza militare classica, non una forza congiunta, ma un sistema di deterrenza politica, energetica e militare che parla soprattutto ad Ankara.
Il vertice trilaterale in programma a Gerusalemme tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il premier greco Kyriakos Mitsotakis e il presidente cipriota Nikos Christodoulides arriva in un momento di tensione crescente. Le violazioni dello spazio aereo greco da parte di velivoli turchi, le risposte di Atene, la pressione turca su Cipro e l’attivismo aggressivo di Erdogan nel Mediterraneo hanno spinto i tre Paesi a coordinarsi più strettamente. Israele considera la Turchia un avversario strategico, non ancora un nemico, e l’obiettivo dichiarato è impedire che quella linea venga superata.
La cooperazione non nasce oggi. Da anni Israele e Grecia conducono decine di esercitazioni militari congiunte, condividono intelligence e sviluppano interoperabilità tra sistemi di difesa. Cipro è entrata progressivamente in questo asse, rafforzandolo sul piano politico e logistico. Il vertice servirà a consolidare ciò che già esiste e ad ampliarlo, senza formalizzarlo in un patto difensivo che avrebbe un impatto esplosivo sul piano diplomatico.
Il cuore del progetto non è solo militare. Energia e infrastrutture sono il vero collante dell’asse. Il collegamento elettrico sottomarino tra Israele, Cipro e Grecia, una volta completato, legherà Israele alla rete europea, riducendo dipendenze e aumentando il peso strategico di Gerusalemme. Sullo sfondo c’è il grande dossier del gas, con il giacimento di Afrodite e la possibilità per Cipro di dotarsi di infrastrutture proprie, in concorrenza con l’Egitto. Ogni tubo, ogni cavo, ogni interconnessione riduce lo spazio di manovra turco e rafforza l’autonomia dei tre partner.
C’è poi la dimensione americana. Israele ha trasmesso messaggi chiari a Washington, tramite i canali diplomatici, chiedendo agli Stati Uniti di contenere Erdogan e di prevenire un’escalation. La risposta americana, secondo fonti israeliane, è stata ambigua: le invettive del presidente turco contro Israele vengono lette come consumo interno, retorica per l’elettorato. Ma a Gerusalemme questa distinzione non convince più. Dopo il 7 ottobre, spiegano fonti governative, le parole non sono più solo parole. Preparano il terreno, legittimano scenari, abituano le opinioni pubbliche.
Israele, intanto, rafforza i fatti. Sono sul tavolo importanti forniture militari alla Grecia: sistemi di difesa aerea, missili, tecnologia avanzata. Atene teme che il rapido riarmo turco possa alterare gli equilibri nel Mar Egeo, rendendo possibili scontri limitati ma destabilizzanti. Israele vede in questa cooperazione un investimento strategico: non per mandare soldati a difendere isole greche, né per chiedere truppe a protezione dei propri confini, ma per costruire una rete di sicurezza che renda il costo dell’aggressività troppo alto.
Il “muro” evocato dalle fonti israeliane non è fatto di cemento, ma di addestramento congiunto, interoperabilità, scambi di informazioni, presenza coordinata. È un muro che non si vede, ma si percepisce. Ed è proprio per questo che funziona come deterrente. Erdogan lo ha capito, ed è per questo che alza i toni. Israele, Grecia e Cipro rispondono abbassando la voce e alzando il livello della cooperazione. Nel Mediterraneo orientale, oggi, la vera forza non è chi urla di più, ma chi costruisce pazientemente gli equilibri che rendono la guerra una cattiva opzione per tutti.
Israele, Grecia e Cipro alzano la deterrenza contro Erdogan
Israele, Grecia e Cipro alzano la deterrenza contro Erdogan

