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Israele–Egitto, il gas che ridisegna il Mediterraneo

Shira Navon

Tempo di Lettura: 3 min
Israele–Egitto, il gas che ridisegna il Mediterraneo

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu lo ha definito «un momento storico». E, al netto della retorica, l’accordo sul gas naturale con l’Egitto appena approvato dal governo israeliano rappresenta davvero una svolta di portata strategica. È il più grande accordo energetico mai firmato da Israele: 112 miliardi di shekel, pari a circa 34,7 miliardi di dollari, per l’esportazione di gas verso il mercato egiziano, con ricadute economiche e politiche destinate a pesare per anni.

Il cuore dell’intesa è il giacimento offshore di Leviathan, uno dei più grandi al mondo in acque profonde, operativo dal 2019. Il gas verrà fornito attraverso Chevron, colosso energetico statunitense, insieme ai partner israeliani, in primis NewMed Energy. Secondo i dati ufficiali, 58 miliardi di shekel finiranno direttamente nelle casse pubbliche israeliane. Nei primi quattro anni lo Stato incasserà circa mezzo miliardo di shekel l’anno, cifra destinata a crescere fino a sei miliardi annui entro il 2033. Un flusso che Netanyahu ha già indicato come risorsa da destinare a sanità, istruzione, infrastrutture e sicurezza.

L’accordo, però, non è nato senza attriti. Il ministro dell’Energia Eli Cohen aveva bloccato l’intesa per mesi, chiedendo garanzie precise: prezzi equi per il mercato interno e tutela della sicurezza energetica nazionale. Preoccupazioni non infondate. Il ministero delle Finanze ha avvertito che, al ritmo attuale di consumi ed esportazioni, nel giro di 25 anni Israele potrebbe trovarsi a corto di gas, con inevitabili effetti sulle bollette. Il via libera è arrivato solo dopo l’impegno formale delle compagnie a garantire forniture interne a condizioni vantaggiose.

Sul tavolo, però, non c’è solo l’economia. C’è la geopolitica. Washington ha giocato un ruolo decisivo nel sbloccare l’intesa, spingendo apertamente Gerusalemme e Il Cairo verso una cooperazione più stretta. L’amministrazione Trump vede nel gas uno strumento per ricucire rapporti deteriorati dopo il 7 ottobre 2023 e la guerra a Gaza. Gli Stati Uniti puntano a rafforzare l’asse energetico nel Mediterraneo orientale, con Israele come perno regionale e l’Egitto come hub di liquefazione ed esportazione.

Oggi Israele copre già tra il 15 e il 20 per cento del fabbisogno egiziano di gas. Dal 2020 sono stati esportati verso l’Egitto 23,5 miliardi di metri cubi provenienti da Leviathan, su un totale contrattuale di 60 miliardi previsto entro i primi anni Trenta. Numeri che spiegano perché Cohen parli di «asset strategico» e perché Netanyahu insista sull’idea di Israele come potenza energetica regionale.

In un Medio Oriente instabile, il gas diventa così molto più di una risorsa naturale: leva diplomatica, strumento di influenza e, non da ultimo, fattore di stabilità. Questa è la scommessa. La partita vera resta però aperta: trasformare un successo economico in un equilibrio duraturo, senza pagare il prezzo di nuove fragilità interne. Perché in politica energetica, come in geopolitica, il conto arriva sempre dopo.


Israele–Egitto, il gas che ridisegna il Mediterraneo
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