Stefano Parisi mi chiede di scrivere sul rapporto tra Israele ed Europa: è una questione particolarmente complessa e quindi, più che un’analisi articolata e compiuta, raccoglierò alcune osservazioni.
Il Vecchio continente oggi vive diversi fattori di crisi che s’intrecciano con la questione israeliana: il ritorno della guerra con l’invasione russa dell’Ucraina (febbraio 2022), sostenuta dallo stesso schieramento che attivamente ha organizzato (l’Iran) e sostanzialmente appoggiato (Cina e Russia) le stragi di Hamas del 7 ottobre, con l’obiettivo di sabotare sia i Patti di Abramo sia il corridoio economico indo-mediorientale-mediterraneo impostato da americani, indiani ed europei nel settembre 2023.
Una crisi energetica esplosa dopo la rottura con Mosca, aggravata da un ideologizzato Green Deal in larga parte fallito, frena — anche psicologicamente — molte capitali europee nei rapporti mediorientali. L’immigrazione musulmana condiziona poi i nostri sistemi politici, diventati sempre più fragili e nei quali minoranze marginali possono determinare esiti generali.
In Gran Bretagna, se il nuovo movimento formato da Jeremy Corbyn ed esponenti dell’islamismo radicalizzato arrivasse, come in alcune previsioni, al 18%, le speranze di tenuta dei laburisti svanirebbero. In Francia, se Jean-Luc Mélenchon, grazie all’elettorato islamico radicale, superasse il 18%, le possibilità di vittoria alle presidenziali per il Rassemblement National crescerebbero. In Germania, Die Linke ha organizzato manifestazioni con sostenitori di Hamas e, se la sinistra post-comunista riuscisse a intercettare voti di immigrati oggi elettori di una SPD data al 15%, le probabilità di crisi per il governo Merz aumenterebbero.
Il mix di problemi enormi e sistemi politici fragili si completa con la disperazione di Emmanuel Macron per aver perso gran parte del radicamento francese in Africa e delle storiche influenze di Parigi in Libano e in Siria. Intanto, la City di Londra — già in difficoltà — teme un logoramento degli storici rapporti con una penisola arabica che ha trovato in Donald Trump un interlocutore attento e attivo. E a proposito di americani: la sostituzione dell’amministrazione Biden, incerta e ondeggiante, con una ultra-unilateralista a guida trumpiana, non migliora lo scenario.
Tutto ciò spiega lo sciagurato atto di Macron di annunciare il riconoscimento di un inesistente Stato palestinese proprio mentre Hamas stava cedendo su una tregua di due mesi e sul rilascio di metà dei civili sequestrati (o dei loro corpi).
Naturalmente pesano anche le questioni umanitarie della popolazione di Gaza, senza dimenticare che, se c’è ancora acqua e luce nella Striscia, è grazie al cosiddetto “genocida” Stato ebraico.
Ho letto le osservazioni di Parisi su come Gerusalemme debba calibrare bene le proprie forze in una guerra che ha già stremato non poco esercito e popolazione. Comprendo, peraltro, che ogni segno di debolezza potrebbe mettere in discussione i rilevanti risultati politico-militari già raggiunti. Capisco anche che un gruppo dirigente israeliano così impegnato in una guerra terribile abbia difficoltà a condurre un’articolata attività diplomatica.
Proprio su questo fronte, invece, sarebbe utile un’iniziativa della vecchia Europa: la tentazione di ripagare gli americani per la disattenzione mostrata sulla questione ucraina con una parallela disattenzione per la guerra israeliana contro Hamas è forte. L’idea di cavarsela con la retorica dei “due popoli, due Stati” può, in questo senso, diventare irresistibile. Ma è una scelta cieca: ogni focolaio non spento in Medio Oriente alimenta i fattori di crisi europea già ricordati.
L’Unione europea — e in particolare i suoi leader più responsabili — ha l’occasione di assumere un ruolo attivo: sia Israele sia la Lega araba sia la Turchia hanno bisogno di una forza terza che affronti immediatamente le emergenze della Striscia di Gaza. Di questa forza “terza” non possono far parte né gli Stati Uniti né, tantomeno, un’ONU macchiata da complicità almeno oggettive con Hamas.
Dopo il momento inevitabile della retorica, proprio dei sistemi democratici, potrebbe così aprirsi uno spazio per un’iniziativa concreta, capace di restituire un profilo alla nostra ammaccata Europa.
Israele ed Europa: il ruolo a cui l’Ue non può abdicare Israele ed Europa: il ruolo a cui l’Ue non può abdicare Israele ed Europa: il ruolo a cui l’Ue non può abdicare