Questa non è una storia di periferia che ha come scenario Bat Yam, città costiera israeliana situata a sud di Tel Aviv. Siamo di fronte a un allarme nazionale, di quelli che iniziano sommessamente, con un appello del sindaco, e nel giro di poche ore si trasformano in una coda di ragazzi, impiegati, studenti, persino personale militare che chiamano la polizia per dire: ho sbagliato, fermate tutto.
Lo Shin Bet ha acceso un faro sul fenomeno alcuni mesi fa, un fenomeno che si concretizzava in messaggi su Telegram, profili anonimi, offerte di piccoli incarichi in cambio di denaro. All’inizio potevano essere scambiati per giochi innoqui: scatta una foto, fai un video, cerca informazioni su un negozio, su una persona, su un edificio. Roba appunto che non sembra nemmeno illegale. Invece è il modo in cui l’intelligence iraniana ha iniziato per infiltrarsi in Israele e ottenere informazioni.
La novità, confermata da fonti di sicurezza e ripresa in questi giorni anche da Haaretz e Ynet, è il cambio di strategia: niente più tentativi di arruolare militari in posizioni sensibili o persone indebitate e ricattabili. Ora l’obiettivo sono i giovani. Ragazzi tra i 16 e i 25 anni, spesso studenti, che credono di aver trovato un modo veloce per fare due soldi. Gli iraniani li illudono di essere loro a fregare Teheran, di essere furbi, di mandare foto trovate online, di lucrare su missioni innocue. Ma quello che agli occhi di un diciottenne sembra un giochino, agli occhi dell’apparato iraniano è collaborazione operativa.
Ed è questo che preoccupa di più lo Shin Bet. Perché il confine tra leggerezza e alto tradimento non lo decide chi scatta la foto, ma chi la riceve. Lo ha spiegato una fonte di sicurezza a Channel 12: basta inviare un’immagine, anche non sensibile, per entrare nel campo minato della collaborazione con un agente straniero. E da lì si può essere spinti a molto di più.
Il caso Bat Yam è diventato un detonatore. Dopo l’appello del sindaco Zvika Brut, il comune è stato subissato di telefonate: persone che ammettono contatti diretti con funzionari iraniani e chiedono di “fermare tutto prima che sia troppo tardi”. E la stessa scena, dicono fonti di polizia, sta ora ripetendosi in altre città costiere e nel centro del Paese.
La prudenza dello Shin Bet non è dettata dalla bontà d’animo, ma da puro realismo operativo: riempire le prigioni di ragazzi ingenui non aiuta a fermare l’Iran ma nello stesso tempo ignorare il fenomeno creerebbe un precedente devastante. Per questo nelle ultime settimane il servizio ha contattato le autorità locali, chiedendo loro di invitare apertamente i cittadini a confessare prima di essere individuati. Una scelta senza precedenti, che indica la gravità della situazione.
Intanto la guerra cibernetica continua. Il gruppo iraniano “Khandela” ha vantato l’hackeraggio dei sistemi collegati alla ricerca nucleare israeliana e la capacità di localizzare l’auto di uno scienziato. Dettagli forse esagerati, come spesso accade nella propaganda digitale, ma sufficienti a ricordare che la partita non si gioca solo sul terreno, bensì sugli smartphone dei cittadini.
La sensazione, nelle parole degli investigatori, è che molti di questi giovani non siano ostili a Israele ma solo convinti di essere dei furbacchioni. E la furbizia, quando incontra gli apparati di un regime ostile, è una moneta che non paga mai in contanti, ma in vite rovinate.
Il rischio, oggi, è che i ragazzi non capiscano la portata del gioco in cui stanno entrando. Il compito dello Stato è farglielo capire prima che succeda il peggio.
Israele e la rete silenziosa che seduce i giovani israeliani
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