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Israele accusa Hamas: «La flottiglia è una provocazione sotto la maschera dell’aiuto umanitario»

Setteottobre

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Israele accusa Hamas: «La flottiglia è una provocazione sotto la maschera dell’aiuto umanitario»

Israele ha diffuso un duro comunicato contro la nuova flottiglia diretta verso Gaza, denunciando che dietro l’iniziativa si cela Hamas. Secondo le autorità di Tel Aviv, non si tratta di un convoglio di solidarietà, bensì di «una provocazione violenta, non di aiuti umanitari».

Il documento ricorda che Israele ha offerto un’alternativa pacifica: far attraccare le imbarcazioni nel porto di Ashkelon, a pochi chilometri da Gaza, per consentire il trasferimento immediato e coordinato degli aiuti. Il rifiuto degli organizzatori, sostiene Gerusalemme, dimostra la vera natura dell’operazione: «un atto al servizio di Hamas».

Israele ribadisce la propria intenzione di impedire la violazione del blocco navale imposto sulla Striscia, «finché l’organizzazione terroristica Hamas continuerà a controllare l’area». L’obiettivo dichiarato è duplice: preservare la sicurezza nazionale e tutelare la vita stessa dei partecipanti.

Canali umanitari già attivi

Il comunicato ricorda che esistono già molteplici canali per l’ingresso di aiuti internazionali a Gaza – via terra, aria e mare. Solo nell’ultima settimana sono entrati quasi 1.700 camion carichi di beni; 1.300 di questi contenevano generi alimentari. Restano in attesa di distribuzione, lato Gaza, le forniture di oltre 500 camion. Parallelamente, centinaia di pazienti sono stati evacuati attraverso il valico di Kerem Shalom per cure all’estero, mentre squadre di soccorso hanno potuto ruotare in entrata e uscita dalla Striscia. In questi giorni si è lavorato anche a nuovi rifugi nel sud di Gaza, con decine di migliaia di tende montate per gli sfollati.

Per Israele, se i partecipanti alla flottiglia avessero davvero a cuore la sorte dei civili, accetterebbero di attraccare ad Ashkelon per garantire che gli aiuti giungano a destinazione in modo rapido e sicuro.

I nomi dietro la flottiglia

Le autorità israeliane identificano i principali promotori nell’attivista Saif Abu Kashek, membro del PCPA (Comitato per le Attività Palestinesi all’Estero), ritenuto vicino a Hamas, e in Zaher Birawi, figura di spicco della stessa organizzazione, definito da Israele «operativo di Hamas in Europa» già dal 2012.

Abu Kashek, secondo le informazioni diffuse, gestisce la società spagnola Cyber Neptune, considerata una copertura che controllerebbe le imbarcazioni partite da Grecia, Italia e Spagna. Birawi, con base a Londra, è uno dei fondatori della Freedom Flotilla Coalition ed è noto per i suoi legami con leader di Hamas, tra cui Ismail Haniyeh. Ha guidato diverse iniziative marittime contro il blocco di Gaza, compresa la nave Madleen, fermata dall’IDF nell’estate 2025.

Israele sostiene che le imbarcazioni siano quindi «indirettamente e abilmente nelle mani di Hamas». A bordo, secondo fonti di intelligence, viaggerebbero centinaia di persone, alcune delle quali provenienti dal Nord Africa e dall’Asia orientale, «con possibili collegamenti a gruppi jihadisti come il Moro». Non si esclude che questi elementi possano cercare lo scontro diretto con l’esercito israeliano.

Un’azione pianificata e illegale

Il governo israeliano definisce la flottiglia «un’operazione coordinata e pianificata da Hamas, condotta senza autorizzazione e in violazione del diritto internazionale, con l’obiettivo di rompere il blocco navale imposto su Gaza, zona considerata teatro di guerra». In altre parole, un’azione militare sotto mentite spoglie civili.

Il quadro giuridico

Nella parte finale, il documento sottolinea la legalità del blocco navale. Tale misura, spiega Israele, è uno strumento previsto dal diritto internazionale in situazioni di conflitto armato, riconosciuto nei manuali navali di Stati Uniti, Regno Unito e Germania. La legittimità del blocco israeliano su Gaza è stata inoltre confermata dal Palmer Report, l’inchiesta ONU sugli eventi del 31 maggio 2010.

Quel rapporto stabilì chiaramente che «non esiste alcun diritto di violare un blocco navale, qualunque siano le motivazioni». Una volta in vigore, nessuna nave può entrare o uscire dall’area sottoposta a blocco: ogni deroga metterebbe in discussione la validità e l’efficacia della misura, con ricadute sull’intero assetto giuridico internazionale.

Una sfida che resta aperta

Israele chiude il comunicato con un appello ai governi dei Paesi coinvolti: chiedere ai propri cittadini di scegliere «la via della responsabilità e della pace», accettando la proposta israeliana di attraccare ad Ashkelon. In caso contrario, la flottiglia sarà considerata a tutti gli effetti una minaccia alla sicurezza dello Stato e una provocazione coordinata da Hamas.


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