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Irlanda: l’ipocrisia come programma politico

Daniele Scalise

Tempo di Lettura: 3 min
Irlanda: l’ipocrisia come programma politico

In Irlanda la nuova eroina della sinistra radicale si chiama Catherine Connolly. È la deputata che ha appena trionfato alle elezioni presidenziali promettendo giustizia, diritti, uguaglianza e altre parole nobili che, messe in fila, suonano bene in ogni comizio. Ma basta ascoltarla per qualche minuto per capire che dietro il lessico progressista si nasconde l’antico vizio doppiopesista: compassione selettiva, indignazione a orologeria, solidarietà con chiunque impugni un kalashnikov purché non sia ebreo.

Il 23 settembre, intervistata dalla BBC, Connolly ha dichiarato che Hamas è «parte del tessuto del popolo palestinese», «parte della società civile». Una definizione che, se non fosse tragica, sarebbe comica. Perché «parte della società civile» non si addice a chi brucia bambini, violenta donne e rapisce anziani: si addice, semmai, a un sindacato, a un’associazione culturale, a un giornale indipendente. Non a una milizia teocratica che predica il genocidio.

Poi, qualche giorno dopo, un sussulto di imbarazzo. Il 7 ottobre è arrivato — con i massacri, i video, i corpi. E allora Connolly ha tentato di correggere il tiro: «Quello che hanno fatto è assolutamente inaccettabile». Si direbbe un passo avanti. Peccato che, appena finita la frase, arrivi il fatidico «ma». E dietro quel «ma» c’è tutta la sporcizia etica e politica che si possa immaginare. «Entrambe le parti hanno commesso crimini di guerra», dice la signora per la quale Israele e Hamas sono sullo stesso piano morale. I terroristi che decapitano civili e lo Stato che difende i propri cittadini: la notte e il giorno, pareggiati in nome dell’equidistanza.

È la grammatica morale di una certa sinistra europea, che da anni non riesce più a distinguere tra vittima e carnefice, tra democrazia e fanatismo. Si commuove per Gaza ma tace per le ragazze iraniane impiccate. Grida al «colonialismo» contro Israele ma benedice le dittature che finanziano la distruzione d’Israele. Ogni volta che l’orrore costringe a scegliere, trova un modo per non farlo.

La signora Connolly non è un’eccezione: è il sintomo di una malattia che ha infestato la nostra civiltà occidentale. Parla di pace ma riconosce come interlocutori coloro che della pace fanno strame. Dice di odiare la violenza «da entrambe le parti», ma il suo sguardo si posa sempre su una sola. Si dichiara contro i crimini di guerra, ma non specifica mai quali. È la classica neutralità di chi è codardo, travestita da umanità superiore.

Eppure questa formula funziona. In Irlanda e non solo. È comoda, rassicurante, consente di restare nel campo del bene senza il fastidio della responsabilità morale. Basta dire «sono contro la violenza ovunque», e ogni massacro trova la sua giustificazione implicita. L’equidistanza diventa anestesia.

L’ipocrisia non è più una colpa ma un vero e proprio metodo politico. E Catherine Connolly ne è la perfetta rappresentante: una donna colta, elegante, progressista, che parla la lingua dell’Occidente mentre ne disprezza i principi. È il volto gentile di una sinistra che non ha più il coraggio di difendere la libertà, e preferisce compatire i suoi nemici.


Irlanda: l’ipocrisia come programma politico
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