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Inizia una nuova fase per il Medio Oriente

Stefano Parisi

Tempo di Lettura: 3 min
Inizia una nuova fase per il Medio Oriente

Finalmente l’accordo è arrivato, nei giorni della seconda ricorrenza dell’orrore del 7 ottobre. Dopo tanto sangue e tanto dolore, si festeggia in Israele, si festeggia a Gaza. C’è il rilascio degli ostaggi, c’è il cessate il fuoco.

Finalmente si è fatta strada la soluzione che tanti auspicavano: l’impegno diretto dei Paesi arabi e musulmani nella gestione di Gaza, nel disarmo di Hamas, nella costruzione di un nuovo Medio Oriente, dove le forze ragionevoli — o comunque interessate — si uniscono per sconfiggere l’Iran e il terrorismo islamico.

Israele esce dall’isolamento. Si ritira gradualmente da Gaza e lascia che siano i Paesi arabi che hanno aderito all’accordo voluto dal presidente degli Stati Uniti a occuparsi della Striscia, del suo futuro, del disarmo di Hamas.

Il governo di Gerusalemme fa ciò che la stragrande maggioranza degli israeliani chiede: lascia che i suoi ostaggi, vivi e morti, tornino a casa e inizia a suturare quella ferita profonda che si è aperta nel popolo di Israele. Gli israeliani sono esausti, sfiniti dal dolore, spossati dall’attesa, devastati da una guerra che dura da troppo tempo e che ha coinvolto (quasi) tutti i giovani nelle azioni militari. Tanti di loro non sono tornati; tante famiglie sono distrutte.

Israele non ha sconfitto Hamas: ne ha ridotto in modo drammatico la capacità offensiva, ma non ha sradicato l’odio, l’ideologia jihadista, il desiderio — diffuso tra molti palestinesi — di cancellare Israele dalla faccia della terra e di uccidere tutti gli ebrei.

Questo accordo porta con sé la speranza di creare un nuovo ordine in Medio Oriente, ma le incognite restano enormi. Basta leggere le dichiarazioni che il leader turco Recep Tayyip Erdoğan ha rilasciato ieri contro Israele e conoscere le sue mire di egemonia nell’area; basta guardare alla storia del Qatar, al suo ruolo nel finanziare il terrorismo e nell’ospitare i leader del terrore; basta sapere che i Fratelli Musulmani giocheranno ancora un ruolo determinante nella regione.

Israele libera gli ostaggi e libera se stesso dal ricatto. Oggi è consapevole degli errori che hanno portato al 7 ottobre e non li commetterà più. Ma sa anche che la strada verso una convivenza pacifica con i palestinesi non sarà né certa né breve.

Il 7 ottobre è stato uno shock profondo. Per coloro che credevano che un’integrazione con i gazawi avrebbe portato la pace, ma quei gazawi hanno ucciso, stuprato, bruciato, mutilato e rapito i loro familiari. Per coloro che pensavano che Hamas, riempita di denaro, non avrebbe mai osato, e hanno visto che quei soldi hanno armato la mano dei terroristi e scavato i tunnel che li proteggevano, provocando la morte di decine di migliaia di palestinesi — morti di cui il mondo incolpa Gerusalemme. Per coloro che vivevano nella certezza che il sistema di sicurezza più avanzato al mondo, capace di sventare migliaia di attacchi e attentati, non avrebbe mai fallito: il 7 ottobre ha dimostrato il contrario.

Oggi Israele è ferito, ma intravede una prima luce di speranza. Avrà bisogno di tempo per superare le profonde divisioni interne; dovrà restare vigile e forte per convivere ancora a lungo con l’odio. E noi dobbiamo continuare a essere al suo fianco, perché difendere Israele significa difendere anche il nostro futuro.


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