Fra un incidente diplomatico, cadaveri restituiti col contagocce in cambio di migliaia di terroristi e attivisti filo-jihad, kamikaze prigionieri nei tunnel che ripetono che la resa non è un’opzione per i miliziani di Hamas, questo fragile filo di speranza che chiamiamo processo di pace in Medio Oriente va avanti. A fatica, ma va avanti.
In generale, i più – i più distratti, i più superficiali, qualcuno direbbe i più stupidi – pensano che in fin dei conti questa storia, che avviene in una terra lontana, che forse un giorno tornerà a essere meta di turismo (com’era la cosiddetta prigione a cielo aperto di Gaza prima del 7 ottobre), non ci riguardi. Sbagliano.
Gli echi di quella guerra, anzi, di quello scontro di civiltà, sono arrivati anche qui da noi: negli scantinati dei centri sociali a Bologna che hanno partorito un volantino in cui il collettivo di turno invitava tutti a partecipare ai “festeggiamenti” per la ricorrenza del 7 ottobre. Sono echi che portano in regalo i semi di una cultura neonazista: come altro vogliamo chiamare il festeggiare la morte di 1.200 israeliani?
Echi di quella guerra sono arrivati anche in uno stabile a Vienna, dove è stato ritrovato un arsenale di Hamas pronto a colpire in Europa. Che abbiano scavato un tunnel fino a lì? Benedetti: non potremmo almeno trovar loro un lavoro nella metro di Roma?
Ma quegli echi, quelle avvisaglie, in pochi le notano. E in pochi capiscono che la pace in Medio Oriente ci riguarda tutti. Tutti, non “loro”.
E tuttavia, niente paura: la pace, della nostra ignoranza, se ne infischia. E lenta, sdrucita, azzoppata, maltrattata, vilipesa, continua ad avanzare. Tuttavia c’è un’ombra ancora più grande che grava su questo delicato processo e sulla sicurezza di tutti noi.
Sono due Paesi seduti a quello stesso tavolo, che però non la raccontano giusta. Hanno firmato gli accordi, hanno praticamente mollato Hamas, eppure non la raccontano giusta. Sono la Turchia e il Qatar. E il fatto ancora più pericoloso è che, proprio perché siedono a quel tavolo, da lontano sembrano amici della pace.
Peccato che, a guardare bene e da vicino, abbiano appoggiato il terrorismo fino a pochi giorni fa. In quanti sanno che il Qatar, che pure ospita basi Usa da tempo immemorabile, è stato insieme all’Iran il principale finanziatore di Hamas? E la Turchia? Mentre con una mano firma la pace, con l’altra firma un documento che chiede l’incriminazione di Netanyahu presso la Corte penale internazionale.
In quanti sanno che il sogno bagnato di Erdoğan è diventare il primo reggente di un futuro califfato islamico che si estenderebbe dalla Turchia al Marocco, come nell’età dell’oro dei Fatimidi? Dunque, che cosa è successo? Di colpo Qatar e Turchia sarebbero stati fulminati sulla via dei tunnel sotterranei verso Damasco? Non credo.
La mia fosca profezia è che, a un certo punto, questi due finti discepoli della pace la venderanno per trenta Akhbari, la futura valuta del califfato. Su questo dovrebbero informarci oggi coloro che si sono spacciati per custodi dell’informazione e della democrazia.
Sapere che un membro del governo israeliano ha festeggiato con i dolcetti la legge sulla pena di morte per i terroristi ci interessa, ma fino a un certo punto. Ci interesserebbero di più i grandi giochi di potere nascosti, pericolosi per il nostro futuro: i baci dati alla pace dai traditori.
E oggi, a chi possiamo chiedere questi approfondimenti? Alla BBC?
In verità vi dico: due di voi mi tradiranno
In verità vi dico: due di voi mi tradiranno

