A Bruxelles il gelo è calato all’improvviso, come quando si aprono porte che si sperava restassero chiuse. L’iniziativa dell’eurodeputata Marion Maréchal – che ha chiesto l’intervento dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode e della Procura nazionale antiterrorismo francese – arriva così: senza preavviso, con un tempismo che affonda nella materia incandescente del Medio Oriente. Al centro, una questione che l’Europa ha a lungo preferito sfiorare soltanto da lontano: la possibilità che fondi comunitari destinati a progetti umanitari nella Striscia di Gaza siano stati utilizzati per favorire, direttamente o indirettamente, il rafforzamento militare di Hamas.
Le accuse nascono da una serie di documenti interni del movimento islamista, repertati dall’esercito israeliano dopo il 7 ottobre 2023 e trasmessi a NGO Monitor, organizzazione israeliana affiliata al Jerusalem Center for Public Affairs. NGO Monitor li ha successivamente condivisi con Euractiv, sito d’informazione europeo molto seguito negli ambienti politici e istituzionali di Bruxelles. Il quadro che emerge è inquietante: un sistema d’infiltrazione metodico, concepito per controllare e in alcuni casi manipolare ONG internazionali attive sul territorio, incluse quelle finanziate da Bruxelles. Nel linguaggio asciutto delle analisi si parla di “garanti”: intermediari locali incaricati di sorvegliare i progetti, influenzarne l’esecuzione o persino assumerne direttamente la guida.
Fra le organizzazioni più esposte nelle carte compare Oxfam, che in un progetto europeo di irrigazione degli alberi da frutto avrebbe collaborato con Rai-Consult company, una società di consulenza indicata come vicina ad Hamas. Il terreno scelto ricadeva in una zona sensibile, ai margini della Striscia, dove persino un filare di alberi può diventare un vantaggio tattico. Secondo il ministero dell’Interno del movimento, quelle piantumazioni potevano offrire copertura ad attività della resistenza. NGO Monitor è esplicita: il progetto sarebbe stato strutturato in modo da preservare e occultare posizioni operative utili agli uomini del gruppo palestinese.
Oxfam respinge ogni addebito. Rivendica l’esistenza di controlli interni e audit esterni sui partner locali, e afferma che nessuna verifica abbia mai fatto emergere legami con Hamas o altri gruppi armati. Sostiene inoltre che il movimento non eserciti alcuna influenza sulle proprie attività. Una difesa articolata, ma ora insufficiente a placare il clamore politico.
Perché la questione non riguarda un singolo progetto agricolo, né una singola ONG: tocca il cuore del rapporto fra Unione Europea e politiche di finanziamento nei teatri più instabili del mondo. Se anche una minima parte dell’aiuto umanitario risultasse sfruttabile da un gruppo armato, il danno sarebbe doppio: morale e strategico. È esattamente il punto sollevato da Maréchal, convinta che le responsabilità politiche e amministrative vadano identificate senza esitazioni.
In una fase in cui l’Europa oscilla fra la necessità di soccorrere le popolazioni civili e il rischio di alimentare apparati militari ostili, la vicenda illumina con crudezza le fragilità del sistema. Le ONG restano indispensabili, ma ora devono interrogarsi sul modo in cui operano in territori dove nulla è neutro. Anche l’Unione dovrà decidere se continuare a investire con gli stessi strumenti o se ridefinire l’intero impianto dei controlli.
Il caso è appena iniziato. Ma una cosa è già evidente: Gaza non è soltanto un campo di battaglia. È il luogo in cui la trasparenza europea si misura con le macerie della guerra. E questa volta nessuno potrà fingere di non vedere.
Il vaso di Pandora europeo sulle ONG a Gaza
Il vaso di Pandora europeo sulle ONG a Gaza

