Finalmente succede che la gente si stufi. A Parigi, alla Philarmonie, non hanno aspettato la sicurezza, né invocato il solito “dialogo”.
Hanno preso di peso gli attivisti che volevano interrompere il concerto dell’Orchestra Filarmonica d’Israele e li hanno accompagnati all’uscita a furia di ceffoni e calci nel culo. Niente di metaforico: fisici, sonori, liberatori.
C’è qualcosa di profondamente sano in questa scena. Dopo mesi di piazze occupate da ultras con kefiah d’ordinanza, slogan di cartone e vocabolario ridotto a “genocidio”, qualcuno ha deciso che la misura era colma. Non più “pubblico borghese e passivo”, ma cittadini che difendono la musica dal fumo, la cultura dalla barbarie, la normalità dalla follia propagandista.
Gli attivisti pro-Hamas gridavano, come sempre, “silenzio per Gaza”. Il pubblico ha risposto a modo suo: “silenzio, e basta”. E li ha messi a tacere. Insomma, la pazienza europea comincia a finire.
E quando il pubblico smette di applaudire e inizia a reagire, non serve più l’orchestra per capire che il tempo è cambiato.
Il tempo che cambia
Il tempo che cambia
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