Oggi il concetto di settler-colonialism viene presentato come una lente analitica neutrale: un concetto teorico generale, nato per descrivere dinamiche storiche ampie e solo successivamente “applicato” al caso israeliano. Questa rappresentazione è storicamente falsa. Il concetto non nasce come categoria scientifica universale, ma come strumento di eccezionalizzazione, elaborato per far rientrare Israele in una cornice coloniale dalla quale, sul piano empirico, deviava.
Negli anni Sessanta e Settanta, teorici legati all’orbita dell’OLP e sostenuti dall’apparato ideologico sovietico – come Fayez Sayegh, George Jabbour e Jamil Hilal – svilupparono l’idea di “colonialismo di insediamento” come categoria polemica applicata al sionismo. A essi si affiancarono intellettuali marxisti occidentali, come Maxime Rodinson. L’obiettivo era chiaro: condannare l’autodeterminazione ebraica pur ammettendo, implicitamente, che Israele non presentava le caratteristiche economiche, imperiali o militari del colonialismo classico. Il settler-colonialism nasce dunque come una teoria costruita per colmare artificialmente questa lacuna, non per descrivere una realtà storica comparabile.
Solo in un secondo momento emerse una genealogia apparentemente indipendente, sviluppatasi nel mondo accademico anglofono, che iniziò a parlare di “società di coloni” riferendosi a contesti come Australia, Stati Uniti o Sudafrica. Questa linea di ricerca, culminata negli anni Novanta con la rielaborazione concettuale di Patrick Wolfe, ridefinì il genocidio come “logica strutturale” dell’insediamento. Così facendo, il concetto venne radicalizzato: non più una dinamica storica contingente, ma una colpa ontologica inscritta nell’atto stesso di fondare una società.
È a questo punto che le due genealogie convergono. Uno strumento ideologico nato per delegittimare Israele si fonde con un impianto accademico che gli conferisce un’aura di universalità e rigore scientifico. Il risultato è una categoria che si presenta come analitica, ma che conserva intatta la sua funzione originaria: trasformare Israele in un’eccezione morale assoluta, sottraendolo alle normali comparazioni storiche e politiche.
Ciò che oggi passa per critica strutturale “neutrale” porta dunque con sé il residuo del suo scopo iniziale. Il settler-colonialism non è una lente applicata a Israele; è una lente in larga parte costruita su Israele. La sua pretesa universalità non cancella questa origine: la occulta. Ed è proprio in questa operazione ideologica che risiedono la sua forza polemica e la sua infalsificabilità, come meccanismo di eccezionalizzazione che continua a operare mascherandosi da teoria scientifica.
Il settler-colonialism: una categoria costruita su Israele
Il settler-colonialism: una categoria costruita su Israele

