A quasi due mesi dal cessate il fuoco, le testimonianze raccolte da N12 – piattaforma digitale del canale 12, oggi il canale più seguito in Israele – dentro la Striscia restituiscono una verità che molti preferiscono non vedere: Hamas non è caduta, non è scomparsa e non è stata nemmeno neutralizzata. È di nuovo sul campo, con la stessa ferocia di sempre, e sta ricostruendo la propria rete di potere come se nulla fosse accaduto. Il serpente, insomma, è vivo e pronto a mordere.
Sono gli stessi gazawi a raccontarlo con una lucidità amara. G., uno dei testimoni, dice senza giri di parole che Hamas è “ovunque”: negli ospedali, agli incroci, nei mercati, negli uffici riaperti alla luce del sole. Recluta nuovi attivisti, ripristina milizie armate agli snodi principali, riallaccia la rete di controllo sociale che per anni ha soffocato la Striscia. Chi racconta che l’organizzazione sarebbe stata debellata vive in un altrove immaginario, non a Gaza.
Il ritorno non è solo politico o militare: è economico. Si basa sull’estorsione sistematica di chiunque possieda qualcosa. G. descrive una macchina di riscossione brutale: cinque o dieci shekel al giorno a ogni commerciante per il semplice diritto di restare dove si trova; bastano un rifiuto o un ritardo e arrivano botte, minacce, divieti. Le tasse parallele colpiscono tutto: commercianti, automobilisti, chi importa merci. Sui conti correnti delle famiglie meglio non lasciare troppo denaro: Hamas, se lo scopre, lo prende. Metà, come minimo.
M., uno degli organizzatori delle proteste contro il gruppo terrorista, parla di una popolazione allo stremo. Povertà crescente, case distrutte, aiuti distribuiti solo ai militanti. Chi osa denunciare viene arrestato. Basta un post sui social per sparire. Gli abitanti aspettano la cosiddetta “seconda fase”, sperando che Hamas venga finalmente rimosso dalla Striscia. Ma per ora è solo un desiderio, non un fatto.
La realtà economica è ancora più cruda. A., un altro residente, racconta come Hamas accumuli denaro attraverso rapimenti ed estorsioni ai danni di imprenditori e ricchi locali. L’ultimo caso riguarda un noto uomo d’affari, rapito per cinque milioni di dollari. Le tasse sulle sigarette sono diventate un affare colossale: un pacchetto che fuori costa 20 shekel, a Gaza arriva a 140. Ben 110 shekel finiscono nelle casse di Hamas. Un sistema fiscale criminale, fondato sulla dipendenza e sulla paura.
I tunnel nella zona centrale della Striscia sono intatti, e l’organizzazione li usa per installare reti private, nascondere milizie, garantire continuità al proprio apparato. Perfino gli influencer vengono rapiti per ottenere donazioni. Gli aiuti umanitari? Aperti, saccheggiati, rivenduti pezzo per pezzo. Le tende, il cioccolato, qualsiasi cosa abbia valore.
R., un funzionario locale, prova a restare neutrale, ma la sua descrizione è eloquente: Hamas è tornato a gestire traffico, prezzi, mercati, “forze di sicurezza”. Lui stesso ammette di volere solo una vita normale, una pace che a Gaza non si vede da generazioni.
Il quadro è netto: Hamas non sta ricostruendo la Striscia, sta ricostruendo se stessa. La leadership vive nel lusso, la popolazione nella fame. E mentre molte capitali continuano a ripetere le formule rituali sui “principi della pace” e sulla “ricostruzione”, la realtà corre nella direzione opposta. Non esiste pacificazione se chi domina il territorio si comporta come un clan criminale.
Si può preferire la retorica alla verità, ma non cambia il punto: Hamas è ancora lì. Respira. Recluta. Estorce. E prepara il prossimo morso.
La guerra, per loro, non è mai finita. E chi fa finta che lo sia mette a rischio non solo Gaza, ma anche il futuro dell’intera regione.
.
Il serpente rialza la testa: a Gaza Hamas recluta, tassa, rapisce
Il serpente rialza la testa: a Gaza Hamas recluta, tassa, rapisce

