Ai tempi del glorioso Pci, dotato di una ideologia strutturata come il marxismo della interpretazione leninista, il rovesciamento della prassi era un concetto importante, in quanto indicava il momento in cui la prassi (l’azione) diventava cosciente della propria forza storica e trasformava il mondo.
La Rivoluzione d’ottobre rappresentava l’evento che aveva appunto rovesciato la prassi, sconvolto il mondo e costruito la società della socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio.
La ricorrenza del 7 novembre (secondo le date del Calendario pre gregoriano) veniva celebrata a Mosca ogni anno nella Piazza Rossa alla presenza dei vertici del Pcus e dei partiti comunisti di tutto il mondo, schierati sul palco in scala gerarchica in ragione della loro importanza, tutti ad assistere alla sfilata dell’Armata Rossa.
Oggi questa festa è stata abolita e sostituita con la celebrazione della vittoria nella Seconda Guerra mondiale contro il nazismo.
Nel Pd non esiste più un pensiero forte. Marx è stato sostituito da Edmondo De Amicis (tanto per non rinunciare alle vie nazionali) e il Capitale dal libro Cuore. Ma ogni tanto fa capolino il “rovesciamento della prassi”, da intendersi come adozione di una diversa linea politica su temi importanti.
Accade così che principi, valori, concetti ritenuti fondamentali siano stati rovesciati nel loro contrario. È il caso del concetto di antisemitismo che è stato espropriato nella rubrica dei valori negativi dal suo contrario: il concetto di filosemitismo.
Che cosa hanno rimproverato i giovani dem di Bergamo a Emanuele Fiano? Di essere un “sionista moderato”, che al dunque sembra una variante di ebreo. Ma nei loro confronti è valso alla fine il benevolo “so’ ragazzi”, tanto da ritenere che fosse questo il motivo della indifferenza e del silenzio dei vertici nazionali.
Con Piero Fassino, invece, si è premurato Giuseppe Provenzano, responsabile esteri del partito, per certificare il carattere personale del suo “filosemitismo”, giacché Fassino, onusto di storia politica, si era recato alla Knesset insieme a due parlamentari della maggioranza, per riconoscere a Israele di essere una società aperta, libera e democratica, dove non è mai venuta meno una dialettica democratica, neppure mentre il paese era in guerra.
La linea ufficiale del Pd è un’altra: in Israele è in atto un processo di autoritarismo.
È singolare questa tesi: i primi a non essersene accorti sono proprio gli israeliani che dal 7 ottobre in poi hanno effettuato contro il governo del loro paese più manifestazioni di quelle organizzate a tempo pieno da noi dai pro-Pal.
Hanno protestato davanti all’abitazione di Netanyahu; hanno svolto uno sciopero generale che neanche Landini; rifiutano la concessione della grazia al premier.
Nonostante la guerra è proseguita la normale attività delle istituzioni democratiche e nei confronti dei palestinesi cittadini di Israele non è stata presa nessuna misura di sicurezza (anche perché non ce ne era alcun bisogno).
Oggi sono i vertici militari – che pure hanno compiuto il loro dovere nella difesa del paese su ben sette fronti – a ricercare le responsabilità di chi non è stato in grado, il 7 ottobre, di difendere i cittadini dall’offensiva di Hamas.
E sta qui la vera responsabilità di Bibi Netanyahu, a cui dovrà essere chiamato a rispondere.
Da ultimo è venuta la sconfessione del ddl contro l’antisemitismo a prima firma di Graziano Delrio e di altri senatori (tre dei quali hanno già ritirato la firma dopo i rimbrotti del capogruppo).
Il passaggio è delicato e non lascia spazio agli equivoci, perché è la prova provata del rovesciamento della prassi di cui si parlava all’inizio.
La critica riguarda il recepimento di una definizione dell’antisemitismo (adottata dalla Plenaria dell’IHRA a Bucarest il 26 maggio 2016) che potrebbe creare difficoltà a coloro che vogliono essere liberi di insultare Israele di razzismo, colonialismo, genocidio, sionismo, senza incorrere nell’accusa di antiebraismo.
Il fatto è che – come è scritto nella relazione illustrativa del ddl Delrio – “la rilevanza sotto il profilo qualitativo e quantitativo del fenomeno dell’antisemitismo induce la maggioranza degli ebrei a celare la propria identità, come evidenziato dall’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali: il 75 per cento dei cittadini italiani ebrei evita infatti di indossare simboli religiosi in pubblico. Ciò denota che in una parte della popolazione si sono ridotti gli spazi di libertà e di rivendicazione della propria identità culturale e/o religiosa. La limitazione di questi spazi incide negativamente sulla qualità della democrazia e della convivenza civile, e nella storia ha costituito la premessa delle discriminazioni più gravi di stampo razzista”.
Nella relazione viene poi evidenziato, quanto agli atti di antisemitismo, un paradosso incomprensibile ma significativo: “un aspetto paradossale e di estrema gravità rilevato dal Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri riguarda la collocazione temporale degli eventi che si registrano a ridosso (immediatamente prima e subito dopo) di date significative, come quelle del 27 gennaio (Giorno della Memoria), del 25 aprile (Festa della Liberazione) e del 7 ottobre (nel 2024, primo anniversario dell’attacco di Hamas a Israele). A cavallo di questi periodi si registrano picchi particolarmente marcati”.
Che il Pd, sempre pronto a crocefiggere in sala mensa qualsiasi atto o parola che possa avere qualche lontana parentela col fascismo, voglia tenersi le mani libere per poter dissimulare l’antiebraismo ricorrendo a mere varianti semantiche è davvero un rovesciamento della prassi.
E del decoro.
Il rovesciamento della prassi

