Le dichiarazioni del Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, in merito al riconoscimento diplomatico della Palestina — rese in occasione del Giubileo degli influencer — suscitano perplessità e contrarietà in larga parte del laicato cattolico.
In primo luogo, è stata notata l’asimmetria di un intervento in cui non una parola è stata spesa a favore della liberazione degli ostaggi israeliani. Una scelta difficile da comprendere, considerando che il nuovo Pontefice ha sempre coniugato la richiesta di cessazione delle ostilità a Gaza con l’altrettanto ferma invocazione per la restituzione dei civili rapiti durante la barbara strage del 7 ottobre.
Inoltre, l’ipotesi del riconoscimento di una entità palestinese implica che il Vaticano identifichi un interlocutore legittimo e rappresentativo. Se così fosse, sorge spontanea la domanda: a tale interlocutore è stato posto il nodo politico e umanitario della sorte degli ostaggi e delle condizioni in cui sopravvivono, con dolore, da mesi?
L’emergenza umanitaria è causata, anzitutto, dai comportamenti criminali di Hamas, che non solo utilizza la popolazione civile come scudo umano, ma ostacola sistematicamente la distribuzione degli aiuti, al fine di esercitare un controllo repressivo sulla popolazione palestinese.
Infine, appare evidente che il riconoscimento di uno Stato palestinese, se avvenisse in questo contesto, rischierebbe di essere percepito come una sorta di premio dopo il massacro di civili israeliani. Una diplomazia responsabile dovrebbe piuttosto insistere su una soluzione negoziale, fondata sulla resa di Hamas e sul coinvolgimento attivo dei Paesi arabi moderati.
La diplomazia vaticana rischia, in questa fase, di perdere la possibilità di concorrere a un vero processo di pace per mancanza di neutralità.
Il riconoscimento della Palestina? Così il Vaticano perde la sua neutralità Il riconoscimento della Palestina? Così il Vaticano perde la sua neutralità Il riconoscimento della Palestina? Così il Vaticano perde la sua neutralità