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Il professore che voleva bandire gli ebrei da Facebook? Era con me al liceo…

Luisa Ciuni

Tempo di Lettura: 3 min
Il professore che voleva bandire gli ebrei da Facebook? Era con me al liceo…

Se non fosse un abusato luogo comune, inizierei questo pezzo con il celebre «lo conoscevo bene». Ma non lo farò. Mi limiterò a spiegare che cosa abbia trasformato un apprezzato professore di Diritto civile dell’Università di Palermo in un leone da tastiera, in un hater con il triste primato del post più antisemita comparso negli ultimi giorni, con tutto il vespaio che ne è seguito.

Perché Luca Nivarra non è Chef Rubio, né un estremista di CasaPound. È un uomo di cultura, un docente con all’attivo oltre duecento pubblicazioni di livello. Un piccolo genio del diritto, che ha ottenuto la cattedra giovanissimo, mentre aspiranti di altre discipline fuggivano all’estero — ostacolati dalle baronie italiane — o si rassegnavano ad anni d’attesa per un riconoscimento.

È successo forse per meriti politici? Nivarra è sempre stato nel PCI (finché è esistito) o comunque nell’area della sinistra. Sarebbe ingiusto, però, sostenere che sia andato avanti solo grazie alla tessera. Studioso lo è davvero, fin dal liceo. Diciamo che gli è andata bene.

Ci siamo conosciuti ai tempi delle superiori: con i suoi amici, che condividevano le stesse idee politiche, facevamo gruppo. Lui era il leader, un po’ saccente ma seguito e stimato. Poi la vita ci ha separati, finché Facebook ci ha rimessi in contatto. La cronaca, nel frattempo, aveva già sbattuto Nivarra in prima pagina: arrestato nel 2017 mentre si accingeva a partecipare a un congresso a Trento, coinvolto nel caso Saguto — la magistrata curatrice dei beni sequestrati, protagonista del più grande scandalo palermitano degli ultimi anni, oggi persino interpretato in una serie Netflix, Vendetta, guerra nell’antimafia.

Di lui si diceva: Luca è innocente, è un errore giudiziario. Non essendo qui per giudicare Cesare, non entro nel merito: la giustizia farà il suo corso, e per me vale la presunzione di innocenza.

Tutto sembrava scorrere fra ricordi e post di vario genere, finché Gaza non ha risvegliato il manicheo giovanile che sonnecchiava in lui. Gli ha ridato una causa, semplificando il mondo: da una parte i “buoni”, da lui rappresentati, dall’altra quelli come me, colpevoli — a suo dire — di sterminio («roba che Eichmann, al confronto, era una dama della carità»), carestie indotte, torture di bambini e altre infamie.

Chi non è d’accordo con lui è un «nazisionista». Così ci definisce, accompagnando le invettive con sproloqui lunghi e ben costruiti. Le scuole le ha fatte, e si vede: non ha però il dono della sintesi.

Antisemita? «Giammai, antisionista», risponde. Ho provato a spiegarmi con lui, senza alcun risultato. Ho smesso di leggerlo. Poi è arrivata la sua idea di bannare gli ebrei da Facebook, la pretesa di avere ragione da Torquemada di quartiere. Una notorietà inattesa.

Insomma, lui gli ebrei non vuole incontrarli nemmeno online. Preferisce la Saguto. E così sia.


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