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Il Marocco apre le porte

Premio ufficiale a una ricercatrice israeliana come un segnale politico di dialogo.

Paolo Montesi

Tempo di Lettura: 3 min
Il Marocco apre le porte

In un Medio Oriente attraversato da fratture profonde e da un irrigidimento generale dei rapporti tra Israele e gran parte del mondo arabo, il Marocco sceglie di percorrere una strada ben diversa. Lo fa senza proclami e senza gesti clamorosi, ma attraverso un atto pubblico che ha un peso politico indiscutibile. Il conferimento del premio “Scelta del Cuore” a Einat Levy, ricercatrice israeliana che vive nel regno da quindici anni, è infatti molto più di un riconoscimento personale.

La cerimonia si svolge a Sidi Kassem, sotto l’egida del Salaam Forum, con il patrocinio del ministero della Cultura del Marocco per la regione nordoccidentale del Paese. Nella motivazione ufficiale si parla di contributo intellettuale allo studio delle relazioni interculturali, di dialogo, di cooperazione, di comprensione reciproca tra le nazioni. Il linguaggio è misurato e istituzionale, ma assume un significato netto e potente se collocato nel contesto attuale.

Levy, nata a Haifa, è l’unica israeliana tra i premiati di quest’anno. E’ arrivata in Marocco guidando gruppi di imprenditori e turisti israeliani, in un’epoca in cui i rapporti ufficiali erano ancora fragili. Con l’apertura dell’ambasciata israeliana a Rabat, venne assunta come consulente economica. Due anni dopo scelse una strada diversa, lasciando l’incarico istituzionale per fondare un’organizzazione no profit dedicata al rafforzamento dei legami tra i due Paesi e alla tutela del patrimonio ebraico marocchino.

Dopo il 7 ottobre, la sua presenza in Marocco non era scontata. Come molti israeliani all’estero, Levy si è interrogata sulla propria sicurezza e sulla possibilità di continuare a vivere in un Paese arabo mentre infuriava la guerra a Gaza. È rimasta in Israele per alcune settimane, poi ha deciso di tornare. Con prudenza, evitando alcuni luoghi, senza tuttavia far mistero della propria identità. Sa di essere riconosciuta come israeliana e racconta di un rispetto che, al di là delle tensioni, continua a incontrare nella vita quotidiana.

Il premio arriva dunque in un momento delicato. Levy stessa ammette di aver faticato a credere che un’israeliana potesse ricevere un riconoscimento pubblico in questi tempi segnati da boicottaggi, proteste e ostilità diffuse. Ed è proprio questo il punto. Insieme a lei viene premiato anche André Azoulay, storico consigliere ebreo del palazzo reale marocchino, figura chiave nel dialogo tra comunità e culture. L’accostamento non è casuale. È una dichiarazione di continuità e di intenzione.

Il messaggio che emerge è chiaro. Il Marocco non intende rinunciare alla linea tracciata negli ultimi anni, fatta di apertura controllata, cooperazione culturale e relazioni con Israele considerate un investimento strategico e identitario. In un panorama regionale in cui molti governi preferiscono abbassare il profilo o allinearsi a una retorica di rottura, Rabat sceglie di rendere visibile una posizione diversa, consapevole dei costi ma anche dei benefici.

Non si tratta di ingenuità né di romanticismo diplomatico. Il Marocco conosce bene le tensioni interne e regionali, ma scommette sulla stabilità che deriva dal dialogo e dalla continuità istituzionale. Premiare una ricercatrice israeliana impegnata nello studio delle relazioni interculturali significa rivendicare una sovranità politica che non si lascia dettare l’agenda dalle piazze o dai social network.

In questo senso, l’abbraccio simbolico a Einat Levy va oltre la storia di un singolo individuo ed è invece un gesto che parla a Israele, al mondo arabo e anche all’Occidente. Dice che, nonostante la guerra e la polarizzazione, esistono ancora Paesi disposti a difendere spazi di cooperazione reale. Non per negare il conflitto, ma per impedire che diventi l’unico orizzonte possibile.


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