Parte il “Mamdani Monitor”, un sistema di sorveglianza pubblica che terrà sotto osservazione le decisioni del nuovo sindaco Zohran Mamdani in materia di nomine, finanziamenti e politiche cittadine. Il primo cittadino di New York, socialista democratico di origini indiano-ugandesi e attivista filo-palestinese, ha inaugurato una stagione politica carica di promesse e diffidenze, e l’Anti-Defamation League, storica organizzazione ebraica americana, ha risposto alla sua vittoria con un’iniziativa senza precedenti.
Il progetto prevede anche una linea diretta per segnalare episodi di antisemitismo in scuole, luoghi di lavoro e spazi pubblici. I dati confluiranno in una piattaforma accessibile ai cittadini, con lo scopo dichiarato di mobilitare la comunità ebraica contro ogni politica ritenuta ostile o discriminatoria. «Se sei un ebreo di New York, noi ti copriamo le spalle», ha promesso il direttore della ADL Jonathan Greenblatt, motivando l’iniziativa con l’aumento record degli attacchi antisemiti dopo il 7 ottobre 2023: oltre la metà dei crimini d’odio commessi nel 2024 ha avuto vittime ebree.
Mamdani, dal canto suo, ha cercato di rassicurare. Durante la campagna elettorale aveva promesso di combattere l’antisemitismo insieme a tutte le forme di odio e, dopo la vittoria, ha condannato pubblicamente un atto vandalico contro una yeshivah di Brooklyn, definendolo «disgustoso e straziante». Eppure, le sue posizioni passate continuano a pesare: il sostegno al movimento BDS, la richiesta di sciogliere l’unità della NYPD che gestisce le manifestazioni e un vecchio video in cui collegava la polizia di New York all’esercito israeliano hanno alimentato l’idea di un pregiudizio radicato. Anche la scelta di non firmare una risoluzione sul Giorno della Memoria della Shoah ha lasciato un segno di diffidenza difficile da cancellare.
Per la ADL e per altre organizzazioni ebraiche, la sorveglianza non è un gesto ostile ma uno strumento di autodifesa. New York, il più grande centro ebraico fuori da Israele, nell’ultimo anno ha visto moltiplicarsi episodi di odio, intimidazioni e vandalismi. In questo contesto, l’elezione di un sindaco percepito come vicino alle posizioni anti-israeliane è vissuta come una potenziale minaccia politica. Il “Mamdani Monitor” nasce dunque non solo come strumento di vigilanza, ma come messaggio: la comunità ebraica non resterà in silenzio se il nuovo sindaco dovesse fare passi falsi.
L’iniziativa apre però un interrogativo più ampio: fino a che punto è legittimo monitorare un rappresentante eletto in nome della sicurezza di una comunità? Il rischio, avvertono i critici, è trasformare la tutela in sospetto preventivo, alimentando ulteriormente la polarizzazione. Al tempo stesso, ignorare l’allarme significherebbe sottovalutare un antisemitismo che da anni si è normalizzato nel linguaggio pubblico, nelle università, nei movimenti radicali e perfino in alcuni settori progressisti.
Per Mamdani la sfida è duplice: convincere gli ebrei newyorkesi di non essere un nemico e dimostrare che la sua amministrazione saprà difendere tutti i cittadini con la stessa fermezza. Per la ADL, invece, si tratta di mostrare che la vigilanza non è un atto di sfiducia, ma un esercizio di cittadinanza responsabile. In fondo, il “Mamdani Monitor” è un termometro della democrazia americana: misura quanto la paura incida sulla fiducia pubblica e quanto la politica, nell’epoca dell’odio organizzato, sia ancora capace di garantire protezione senza scivolare nella sorveglianza permanente.
Il “Mamdani Monitor” della ADL: vigilanza o avvertimento?
Il “Mamdani Monitor” della ADL: vigilanza o avvertimento?

