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Il male travestito da normalità

Shira Navon

Tempo di Lettura: 3 min
Il male travestito da normalità

Per cinquecento giorni Tal Shoham ha vissuto sotto terra, prigioniero di Hamas. Quando è tornato alla luce, ha raccontato qualcosa che ancora oggi molti non vogliono vedere: i suoi carcerieri non erano tutti uomini in uniforme o fanatici armati. Tra loro c’erano insegnanti, medici, professori universitari. Persone che, nella vita civile, curavano, educavano, parlavano di conoscenza e futuro. Poi avevano scelto di servire l’odio.

Shoham, liberato a febbraio, ha descritto ai giornalisti un mondo rovesciato: “Uno dei miei guardiani insegnava in una scuola elementare, un altro era un docente universitario, un altro ancora un medico. Gente normale diventata terrorista.” Non per fede, ha aggiunto, ma per potere, paura, appartenenza. L’islam radicale come coperta ideologica, ma sotto un’altra realtà: l’obbedienza cieca, la corruzione, la sete di dominio.
Il racconto mette a nudo un dato che gli analisti militari e le agenzie umanitarie confermano da mesi: Hamas ha progressivamente reclutato civili, offrendo cibo, denaro e protezione in cambio di fedeltà. In una Gaza distrutta, la miseria è diventata arma di arruolamento. I capi restano nei bunker, mentre il popolo, privato di alternative, viene spinto a fare da scudo o da carnefice.

Shoham ha visto tutto: i carichi di aiuti umanitari razziati dai miliziani, le scatole di cibo e medicine provenienti da Egitto, Turchia, Emirati portate via come bottino di guerra. “Ne celebravano la conquista, ma a noi prigionieri non davano nulla,” ha raccontato. In quei tunnel, l’unico gesto umano che ricorda è un biglietto della moglie, fatto passare di nascosto da uno dei guardiani.

E sopra quei tunnel, in superficie, nessuno parlava. Nessun gazawi ha mai tentato di aiutare gli ostaggi israeliani, che spesso erano nascosti nelle case comuni, accanto ai letti dei bambini o nei sotterranei degli ospedali. Il terrore non lo impone solo chi spara: lo perpetua anche chi tace, chi finge di non sapere.

La catena di comando, ha detto Shoham, era confusa, intermittente. C’erano fanatici e opportunisti, crudeltà e gesti improvvisi di pietà, ma sempre dentro lo stesso recinto morale: l’idea che il nemico non fosse umano. Un giorno ha visto un palestinese accusato di “comportamento sospetto”: gli hanno sparato alle ginocchia per poi finirlo davanti ai soccorritori.

Così appare oggi la società di Gaza, vista dagli occhi di chi vi è stato sepolto vivo: non una massa di innocenti ostaggi di Hamas, ma un corpo infettato da un’ideologia che ha dissolto il confine tra civile e terrorista. “Hamas non è solo un esercito,” ha detto Shoham. “È un’idea che ha infettato una generazione.”


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