La recente decisione del Consiglio Nazionale Forense di ampliare il panel della conferenza del 4 settembre 2025 – inizialmente previsto con la sola partecipazione di Francesca Albanese e Barbara Spinelli – ad altri relatori indicati dall’Associazione Italiana Avvocati e Giuristi Ebrei (AGE), ha suscitato divisioni. L’AGE aveva infatti protestato per l’assenza di contraddittorio, chiedendo pluralità di voci. Il CNF ha quindi aggiunto Luigi Florio e lo storico David Elber. Tuttavia, la scelta è stata criticata da alcune associazioni, tra cui l’Asgi, che l’ha definita «incomprensibile».
Al di là delle singole prese di posizione, emerge con forza la progressiva perdita di attenzione verso un valore imprescindibile: il contraddittorio. Per gli avvocati è principio irrinunciabile, perché fonda il processo giusto. Senza la possibilità di opporre argomenti, replicare e discutere, il diritto diventa fragile e rischia di trasformarsi in parodia o inquisizione. Ma il contraddittorio non è mera regola processuale: è l’essenza della civiltà, la possibilità di confrontarsi e accogliere la voce dell’altro. È lo strumento con cui le società evolvono, evitando la deriva del silenzio e dell’omologazione. Senza contraddittorio non c’è dialogo, senza dialogo non c’è democrazia e senza democrazia non c’è convivenza né garanzia di diritti eguali.
La democrazia è il sistema che permette le manifestazioni, il dissenso pacifico e l’ascolto di tutte le voci. Nei nostri sistemi occidentali il confronto è la condizione stessa della libertà. Siamo figli dell’Illuminismo, eredi di chi ha resistito all’oppressione, di chi ha combattuto nel Risorgimento e nella Resistenza, e di chi ha sfidato regimi autoritari. L’identità democratica si nutre di queste lotte e vive nella dissidenza: nei corpi martoriati dalle dittature, nelle donne che rischiano la vita per la propria libertà, nei bambini indottrinati a inneggiare al martirio ma anche vittime della guerra, e nei civili presi in ostaggio, costretti a vivere scheletriti e in condizioni disumane per oltre 700 giorni.
Se il conflitto a Gaza diventa occasione per negare il confronto e ridurre al silenzio voci “diverse”, si agisce contro noi stessi e contro i nostri valori democratici. C’è solo una cosa peggiore del non accorgersene: far finta di niente. Si è fatto finta di niente mentre a Gaza Hamas costruiva basi sotto scuole e ospedali, riceveva finanziamenti e indottrinava bambini. Dove erano allora le piazze per denunciare tutto questo? Allo stesso modo, si continua a far finta di niente di fronte alle stragi in Congo, Siria, Sud Sudan, Myanmar, dove la gente muore tra fame e assenza di cure. Perché non organizzare flotille anche per le vittime di queste guerre? Non dovrebbero esistere conflitti di serie A e di serie B. Eppure l’ipocrisia del mondo seleziona le tragedie che indignano, applicando il diritto internazionale a compartimenti stagni, come se i principi universali valessero solo quando e dove conviene ricordarli.
E allora, almeno, non riduciamoci all’indifferenza di fronte ai tentativi di contestare il contraddittorio, di sopprimere la libertà altrui di esprimere le proprie opinioni, in nome di un presunto “bene superiore”, deciso da alcuni. Ricordava Voltaire: “Non condivido la tua idea, ma darei la vita perché tu la possa esprimere”. Questo principio dovrebbe guidare il mondo dei giuristi e dell’accademia, dove dialogo e confronto devono prevalere su ogni tentativo di “sconfiggere l’altro”, espresso a chiare lettere nello statuto ideologico e nel di terrorismo di Hamas, così come nelle violazioni de del diritto internazionale umanitario ravvisabili nelle operazioni militari del governo di Netanyahu. Azioni che però solo, e soltanto, un tribunale potrà qualificare nella specifica fattispecie giuridica. Perché anche questo è la democrazia e lo stato di diritto.
Quella democrazia che deve farci ribellare se un artista, un giornalista o un politico non viene fatto parlare per compiacere un non ben definito “sentimento collettivo”. Ma anche il nazismo e il fascismo non erano forse un sentimento-drammatico- collettivo?
Pensiamo di contrastare i conflitti, drammatici, demonizzando il contraddittorio? Se è così, allora non lamentiamoci ipocritamente dell’erosione del diritto internazionale e dei sistemi del multilateralismo, nati proprio come reazione ai regimi della metà del secolo scorso.
Il contraddittorio negato: quando la democrazia si piega all’ipocrisiaIl contraddittorio negato: quando la democrazia si piega all’ipocrisia Il contraddittorio negato: quando la democrazia si piega all’ipocrisia