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Il cognome impossibile

A 47 anni scopre di essere il nipote di Himmler.

Rosa Davanzo

Tempo di Lettura: 4 min
Il cognome impossibile

Ci sono scoperte che non aprono una porta, ma ti scaraventano in una voragine. A 47 anni Henrik Lenkeit, consulente coniugale e sacerdote tedesco da tempo residente in Spagna, ha scoperto che il suo vero nonno non era l’uomo che aveva sempre creduto, ma Heinrich Himmler, il braccio destro di Adolf Hitler e uno dei principali carnefici che hanno organizzato quella mostruosità che è la Shoah. Lenkeit ha accertato che il legame biologico è diretto e la notizia lo ha letteralmente sconvolto.

La scoperta avviene quasi per caso. Un pomeriggio d’estate, un documentario online sul nazismo, qualche ricerca in più, una curiosità che si trasforma in inquietudine. Su un sito compare una fotografia di sua nonna materna, Hedwig Potthast. La didascalia è secca e perfino brutale: “L’amante di Himmler”. Da lì inizia un lavoro ossessivo, durato mesi, tra archivi, documenti e certificati di nascita. Alla fine emerge che nel 1944 Himmler riconobbe formalmente di essere il padre biologico di Nanette-Dorothea, la madre di Henrik.

Quando un giornalista gli chiede come si reagisce alla certezza di essere imparentati con uno dei più grandi criminali della storia, Lenkeit risponde con una frase che pesa come una sentenza: non si reagisce ma si resta paralizzati perché prima ancora del giudizio morale, arriva il crollo identitario. Chi sono stato? Chi sono davvero? Perché nessuno me l’ha mai detto?

La madre, morta nel 2019, non aveva mai accennato a quel legame di sangue. Henrik era cresciuto pensando che il nonno fosse Hans Staeck, l’uomo che Hedwig aveva sposato nel dopoguerra. Oggi è convinto che quel silenzio fosse una forma di protezione. Scoprirlo tardi, però, non attenua il colpo ma semmai lo rende più violento. Lenkeit parla apertamente di lutto: rabbia, tristezza, depressione, paura. Un lutto senza funerale, senza rituali ma anche senza consolazione.

Ancora più dolorosa è la rilettura del passato familiare. Hedwig Potthast, la “Mutti” che gli regalava cioccolatini da bambino, non era una figura marginale. Era stata segretaria personale di Himmler al quartier generale della Gestapo di Berlino, dove la relazione tra i due era iniziata nel 1938. Lenkeit non crede all’idea della donna ignara. E’ anzi convinto che sapesse, e che sapesse tutto. Vi sono addirittura fonti che sostengono che lo abbia incoraggiato ad accelerare l’attuazione della Soluzione finale. Le lettere tra i due, colme di vezzeggiativi, restituiscono un’intimità che oggi appare insopportabile.

Hedwig ebbe due figli da Himmler durante la guerra. Nessuno dei due fu mai processata. C’è chi ipotizza un accordo con i servizi americani. Ipotesi, certo. Ma anche questo silenzio giudiziario pesa.

Himmler, capo delle SS, della Gestapo e ministro dell’Interno del Reich, responsabile diretto dello sterminio di sei milioni di ebrei, si suicidò nel maggio 1945 dopo essere stato catturato dagli inglesi e sfuggì al processo. Il nipote, invece, non può sfuggire alla domanda che lo accompagna ogni giorno: cosa significa portare questo cognome nel proprio DNA?

Lenkeit non è tipo da concedersi sconti tanto che non esita a definire Himmler un mostro, un demonio, un assassino di massa. E con molta fatica lo chiama “nonno”. È lì che il linguaggio si spezza e la storia smette di essere solo storia.

Alcuni familiari hanno reagito chiudendo ogni rapporto. Altri si sono barricati nel silenzio. Henrik ha scelto un’altra strada. Si è messo a scrivere, non smette di riflettere e si aggrappa alla fede. Sta lavorando a un libro sulla vergogna e sulla colpa, non come condanna eterna, ma come possibilità di liberazione. I traumi, dice, si trasmettono ma non sono né possono costituire un destino.

Se è vero che non può cambiare il proprio patrimonio genetico può però scegliere cosa farne. E nel suo modo diretto, quasi brutale, dice che se potesse punirebbe in modo implacabile suo nonno, non per vendetta ma per riaffermare, una volta di più, da che parte stare. Anche quando un tragico passato ti scorre nelle vene.


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