L’espulsione dell’imam di Torino, Mohammed Shahin ha sollevato un muro di proteste e indignazione. Mobilitazioni di piazza in città. Pd, 5 Stelle e AVS, hanno portato la protesta nelle aule del parlamento. I cattolici con la Rete del dialogo cristiano islamico hanno scritto al Presidente della Repubblica chiedendo che Shahin possa essere rilasciato perché possa riprendere “la sua opera di dialogo e solidarietà”.
Shahin aveva più volte affermato, immaginiamo nella sua veste di operatore di dialogo e solidarietà, di essere d’accordo con l’orrore compiuto dai terroristi di Hamas il 7 ottobre perché quell’atto “Non è una violenza ma una reazione”. Il decreto di espulsione del Ministro è un atto di 6 pagine i cui addebiti non si limitano alle vergognose e violente frasi pronunciate dall’imam, ma si estendono al ruolo di rilievo che l’imam ricopre negli ambienti dell’Islam Radicale.
La Stampa, Il Fatto Quotidiano, Il Manifesto e l’Unità sono i giornali che più di tutti hanno dato voce alle proteste che si sono levate contro il decreto di espulsione.
Ora non meraviglia che i mondi politici e religiosi, che da due anni sono schierati al fianco di Hamas contro Israele, paese occupante, colonialista, genocida etc. etc. si siano, coerentemente mobilitati al fianco dell’imam, ma crea un qualche sconcerto, invece, il fatto che persone di sicura fede liberale si siano posti dei dubbi, legittimi, ma che sembrano non tenere conto dell’enorme rischio che l’occidente liberale sta correndo. Serena Sileoni giurista di successo, già vicedirettore dell’Istituto Bruno Leoni, in un lungo editoriale dal titolo “La libertà di sbagliare” sostiene che la libertà di espressione debba essere difesa sempre (giusto, sempre) e che l’unico limite debba essere la sicurezza. E che le parole, per quanto odiose, devono essere accompagnate da un elemento di violenza che “è estraneo alla sola forma verbale” per essere limitate.
Sono due anni che assistiamo nelle scuole, nelle piazze, nelle Università, ad una giustificazione e conseguente celebrazione dell’orrore del 7 ottobre. Fiumi di militanti dei movimenti Pro Pal scendono nelle strade a urlare che gli ebrei che vivono in Israele devono essere cacciati dal loro paese, sulla base di un falso storico e di un pregiudizio antisemita.
In due anni quella propaganda ha prodotto più di 700 atti di violenza contro luoghi, persone e simboli dell’ebraismo. Sono due anni che nelle nostre università, il diritto di parola è negato a chi si rifiuta di affermare che Israele sta commettendo un genocidio. Sono due anni che molti consigli comunali, consigli regionali, senati accademici, sindacati, tappano la bocca a chiunque voglia provare a ragionare su cosa accade in Medio Oriente. Sappiamo, non solo da inchieste giornalistiche, che quei movimenti sono promossi, finanziati e infiltrati da organizzazioni legate ai Fratelli Musulmani.
L’istigazione verbale all’odio è un reato nel nostro, come in tutti gli ordinamenti delle democrazie liberali. Si, esistono parole violente che minacciano la nostra sicurezza. Ed è un errore lamentare che “l’appartenenza alla religione musulmana sia diventata elemento indiziario di pericolosità” senza fare i conti con l’evidenza dei fatti: Il terrorismo nel mondo è finanziato e armato dai regimi islamici autoritari, che il suo obiettivo è annientare le democrazie liberali per sostituire lo stato di diritto con la sharia, e che i musulmani, che vogliono praticare liberamente la loro religione nel nostro paese, ne sono le prime vittime.
Come mai certi liberali si mobilitano per l’imam di Torino e non lo fanno per difendere la libertà nei luoghi dove si dovrebbero formare e preservare i valori delle democrazie liberali? Né noi, né Serena Sileoni, come da lei stessa affermato, sappiamo se i nostri servizi di sicurezza siano in possesso di elementi che corroborano ulteriormente il provvedimento di espulsione.
Ovviamente, qualora esistessero questi elementi, non li troveremmo nel testo del decreto. Ma analizzando quello che accade in Italia da almeno due anni e quello che accade in Francia, in UK, per citare le democrazie sotto attacco dall’ondata di odio antisemita e antidemocratico, non possiamo non aprire gli occhi e affermare che la libertà di parola va difesa ora, qui, in Italia, in Europa, dalla minaccia violenta dell’Islam radicale e dalla sua capacità di penetrare una parte sempre più consistente della nostra opinione pubblica, dell’accademia, della politica e dell’informazione, demolendo i nostri valori della libertà di espressione, dello spirito critico, della difesa del valore della vita e dello stato di diritto.
Serena Sileoni scrive: “è dannatamente complicato decidere, prima che sia troppo tardi, se l’ordinato vivere civile sia sotto minaccia”. Cara Serena, è già troppo tardi.
Il caso dell’imam di Torino e la libertà di parola.
Il caso dell’imam di Torino e la libertà di parola.

