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Il 7 ottobre era tutto già scritto

Un documento interno di Hamas prima del massacro, mostra le intenzioni dei terroristi.

Shira Navon

Tempo di Lettura: 4 min
Il 7 ottobre era tutto già scritto

Un mese prima del 7 ottobre, mentre in Israele la sicurezza veniva ancora pensata come una questione di gestione e contenimento, Hamas aveva già messo nero su bianco la propria lettura della situazione. Non uno slogan né una dichiarazione propagandistica, ma undici pagine redatte da ufficiali dell’intelligence dell’organizzazione e destinate alla leadership. Un testo che oggi, riletto alla luce del massacro, appare come una radiografia fredda e lucida delle convinzioni che hanno portato alla decisione di colpire.

Il documento, presentato a Yahya Sinwar e a Muhammad Deif, parte da un assunto preciso. Israele non intende rovesciare il regime di Hamas a Gaza. La leadership israeliana, secondo l’analisi, è consapevole del prezzo elevato che un’operazione di questo tipo comporterebbe e preferisce una strategia di gestione del conflitto, fondata sulla deterrenza e su cicli di violenza controllata. Una scelta attribuita direttamente a Benjamin Netanyahu, mai disposto a fare del rovesciamento di Hamas un obiettivo politico esplicito.

Da questa lettura discende una conclusione che oggi pesa come una condanna. Se il nemico non mira a distruggerti, allora è possibile sorprenderlo. Se l’orizzonte israeliano resta quello della stabilità relativa, allora esiste uno spazio per infrangere le regole, rompere lo schema e colpire in modo imprevedibile. Non è un’intuizione improvvisata, ma il punto di arrivo di un percorso che, come spiegano diversi analisti, inizia almeno nel 2014.

Secondo il ricercatore Yonatan Duhoch Halevi del Jerusalem Center for Foreign and Security Affairs, l’operazione del 7 ottobre affonda le sue radici nel momento in cui Israele completa la barriera anti-tunnel attorno alla Striscia. A quel punto Hamas comprende che la strategia sotterranea non basta più e inizia a costruire un’opzione diversa, fondata sull’incursione terrestre. La nascita e l’addestramento della forza Nuhba, visibile già allora a chiunque volesse guardare, non erano un segreto.

Lo stesso stupore per l’entità della sorpresa israeliana è condiviso da Eran Ortal, ex comandante del Dado Center. L’idea di un attacco diretto al territorio israeliano, sostiene, era apertamente discussa da anni. Le immagini dei miliziani, delle moto, delle esercitazioni non richiedevano competenze da ufficiale d’intelligence per essere interpretate. Eppure sono rimaste sullo sfondo, come rumore di fondo di un conflitto considerato gestibile.

Nel documento, Hamas ricostruisce anche le tappe che hanno rafforzato questa convinzione. L’Operazione Margine Protettivo, le Marce del Ritorno, test pratici sulla barriera di confine, fino a Guardiano delle Mura. Quest’ultimo viene letto come una svolta, la prova che Gaza può fungere da detonatore capace di incendiare più arene contemporaneamente, dentro e fuori i territori. Non più un fronte isolato, ma una miccia.
Da qui la raccomandazione finale alla leadership. Agire in modo imprevedibile. Creare incertezza. Spezzare il ciclo ripetitivo su cui, secondo Hamas, Israele aveva costruito la propria sicurezza. La combinazione tra la convinzione che Israele non volesse rovesciare il regime e l’idea che un’azione inattesa potesse avere successo fornisce, agli occhi di Sinwar e Deif, la conferma decisiva. Il resto è cronaca.

Il documento, pubblicato integralmente dal Meir Amit Intelligence and Terrorism Information Center, non si limita però all’analisi strategica. Intorno alla figura di Sinwar emerge anche una dimensione più profonda, culturale e psicologica. La ricercatrice Ronit Marzan del Tamror Group e dell’Università di Haifa descrive un leader segnato da una mascolinità percepita come fallita all’interno di una società conservatrice. Incapace, nella sua stessa lettura, di proteggere e provvedere alla popolazione di Gaza, Sinwar avrebbe trovato nella violenza estrema anche uno strumento di riaffermazione personale e politica.

A distanza di due anni, questo documento non risponde a tutte le domande, ma ne rende impossibile una. Non si può più dire che Hamas abbia agito nel buio o per impulso. La strada verso il 7 ottobre era stata studiata, discussa e pianificata con cura. Israele, invece, continuava a leggere la realtà con le lenti rassicuranti della gestione. È in questo scarto, tra ciò che veniva scritto a Gaza e ciò che si credeva a Gerusalemme, che si è aperta la voragine. Una voragine che non nasce dall’assenza di segnali, ma semmai dall’incapacità di prenderli sul serio.


Il 7 ottobre era tutto già scritto
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