I rapporti tra Israele e il Kurdistan iracheno non sono ufficiali, ma sono reali, duraturi e strategici. Nascono negli anni Sessanta, quando Israele sviluppa la cosiddetta “dottrina della periferia”: allearsi con minoranze non arabe o non ostili per spezzare l’accerchiamento dei Paesi arabi. I curdi iracheni diventano uno dei pilastri di questa strategia.
Nel corso dei decenni, il legame si è costruito soprattutto sul terreno dell’intelligence, dell’assistenza militare e della cooperazione discreta. Israele ha visto nei curdi un attore pragmatico, laico e ostile ai regimi arabi nazionalisti prima e all’espansionismo iraniano poi. Il Kurdistan iracheno, dal canto suo, ha considerato Israele un alleato lontano ma affidabile, capace di offrire supporto senza pretendere controllo diretto.
Dopo il 2003 e la nascita dell’entità autonoma curda nel nord dell’Iraq, i contatti si intensificano, pur restando non dichiarati. Il Kurdistan diventa per Israele una finestra strategica sull’Iraq e sull’Iran; per i curdi, un canale verso l’Occidente non arabo. Non è un caso che Israele sia stato l’unico Paese a sostenere apertamente il referendum per l’indipendenza curda del 2017, scelta che ha però isolato Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, e mostrato i limiti della relazione.
Oggi il rapporto resta segnato dalla discrezione. L’opposizione di Baghdad, la pressione iraniana e la necessità curda di non rompere equilibri regionali impediscono qualsiasi ufficializzazione. Eppure, la convergenza di interessi rimane: contenere l’Iran, contrastare il jihadismo, mantenere un attore stabile e non ostile in un’area cruciale.
I rapporti Israele–Kurdistan iracheno non sono un’alleanza formale ma una relazione di necessità reciproca. Un legame silenzioso, che conta più per ciò che evita che per ciò che mostra. Ed è proprio questo a renderlo politicamente sensibile e strategicamente rilevante.
I rapporti tra Israele e il Kurdistan iracheno

