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I palestinesi, i coloni e il Jihad

Scialom Bahbout

Tempo di Lettura: 3 min
I palestinesi, i coloni e il Jihad

La situazione in Israele e in Medio Oriente si fa sempre più ingarbugliata. Diventa necessario chiarire il significato delle parole che usiamo: tra le più abusate ci sono “Palestina”, “coloni” e “Jihad”.

Palestina

Il nome “Palestina” fu introdotto dall’imperatore Adriano. Dopo aver coniato la moneta “Judea Capta”, decise di cancellare l’identità del luogo chiamandolo Palestina, illudendosi che gli ebrei avrebbero dimenticato la loro terra d’origine. Non accadde mai: fino all’inizio del Novecento gli ebrei continuavano a dire “vado in Palestina” per indicare il ritorno nella terra dei padri. Di fatto Adriano trasformò in “palestinesi” gli ebrei che non furono deportati.

Non è mai esistito uno Stato di Palestina, ma solo un nome imposto a una terra. Nel tempo, fu invasa e colonizzata da altri popoli: gli arabi furono quelli che ebbero più successo, ma sempre colonizzatori rimasero. L’Islam impose lingua, religione e cultura arabe, come accadde in molte altre terre conquistate. Tuttavia, non riuscì mai a convertire massicciamente gli ebrei, che pagarono spesso con la vita la loro resistenza alla conversione. In definitiva, gli unici “palestinesi” originari furono gli ebrei rimasti dopo la deportazione romana.

Coloni

Gli ebrei non possono essere definiti coloni. Coloni sono coloro che occupano terre con la forza: italiani in Libia, francesi in Algeria, inglesi in India. La Bibbia, al contrario, equipara cittadini e stranieri: “Kaghèr kaezràch”, la stessa regola vale per il cittadino e per l’abitante temporaneo. L’amore per lo straniero è una delle 613 mizvoth, motivata dal ricordo dell’esperienza in Egitto.

Gli ebrei continuarono a vivere in Palestina nei secoli, e piccoli gruppi vi tornarono costantemente, dimostrando nostalgia e attaccamento. Secondo la tradizione ebraica, il diritto a quella terra deriva proprio dal ritorno, riconosciuto anche da Ciro il Grande.

Jihad – Genocidio

Il termine “Jihad” resta problematico. Fino a quando non ci sarà una chiara riforma da parte delle massime autorità musulmane, ebrei, cristiani e atei sono considerati infedeli e va fatto tutto il possibile, anche con la violenza, per costringerli ad accettare l’Islam. Eliminare l’idea del Jihad come guerra religiosa – che richiama il concetto di genocidio – è una condizione necessaria per intraprendere un vero dialogo.

Che i palestinesi di Hamas (e gli sciiti nelle diverse varianti) mirino a questo obiettivo è scritto nero su bianco nello Statuto di Hamas, che raramente viene letto o commentato.

Papa Giovanni Paolo II ebbe il coraggio di chiamare gli ebrei “fratelli maggiori”. È lecito aspettarsi che le massime autorità islamiche facciano altrettanto, ricordando il ruolo delle tribù ebraiche che trasmisero a Maometto molte delle basi della nuova religione. Peccato che non abbiano accettato il principio universale delle Leggi di Noè: non si deve aggredire nessuno per costringerlo a un’altra fede.


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