Chi sono
Gruppo di studiosi emerso tra fine anni ’80 e ’90 (Benny Morris, Ilan Pappé, Avi Shlaim, Tom Segev, fra i più noti) che, grazie all’apertura degli archivi israeliani e britannici, rilesse le origini e i primi decenni dello Stato d’Israele mettendo in discussione narrazioni consolidate.
Contesto
La finestra documentale sul 1948–1967 permise di rileggere Mandato britannico, guerra del ’48, esodo/espulsione dei palestinesi, crisi di Suez ’56, Guerra dei Sei Giorni ’67. Non “storia contro Israele”, ma uso sistematico di fonti primarie per chiarire decisioni politiche e militari, zone grigie incluse.
Cosa sostengono (in sintesi)
– 1948: l’esodo palestinese fu un mosaico di cause (fuga, panico, ordini locali, combattimenti, espulsioni), non un evento monolitico.
– Piano Dalet: direttiva militare elastica, attuata in modi diversi sul terreno; il grado di intenzionalità espulsiva varia a seconda delle aree e dei comandi.
– 1956 e 1967: più peso a calcoli politico-strategici e a coordinamenti riservati di quanto narrato in chiave esclusivamente difensiva.
– Rapporti con potenze esterne: il ruolo britannico e poi americano fu più intrusivo e determinante di quanto ammesso.
Le critiche
Accusati da alcuni di anacronismo morale o di selezionare fonti “a tesi”; da altri, al contrario, di fermarsi prima di conclusioni più radicali. Le traiettorie interne divergono: Morris si è spostato su posizioni più dure in seguito alla violenza del conflitto; Pappé ha assunto un profilo più militante; Shlaim e Segev mantengono uno sguardo revisionista ma documentale.
Perché contano
Hanno costretto Israele (e non solo) a un confronto adulto con la propria storia: meno mito, più archivi. Hanno affinato il metodo, ampliato il dibattito pubblico e reso più complessa, quindi più vera, la memoria condivisa.
I “Nuovi storici” in Israele

