I massacri di Hamas a Gaza non hanno hashtag, né cortei, né cartelli con le foto delle vittime. Nessuno si incatena ai cancelli delle università, nessuno improvvisa sit-in con kefiah e slogan di plastica. Strano, no? Quando a morire sono palestinesi uccisi da altri palestinesi, cala un silenzio funebre, imbarazzato.
E’ che Hamas non tollera chi disobbedisce, chi prova a vivere, chi non vuole combattere, chi magari sogna solo di riaprire un negozietto in mezzo alle macerie. Li bolla come “collaborazionisti” e, via, come i repubblichini di italica memoria, li fucila sul posto senza tanti complimenti. Centinaia di uomini, donne, ragazzi.
Corpi lasciati sull’asfalto, accusati di non aver obbedito abbastanza. E i nostri propal? Zitti, senza voce che devono aver preso durante i tanti cortei che invocavano dal fiume al mare. E’ che sono superimpegnati a mantenere il copione intatto: Israele è il male e Hamas è la resistenza.
Ogni deviazione rischia di incrinare il mito, e i miti, si sa, non vanno disturbati. Così, mentre i fanatici rastrellano i quartieri di Gaza alla ricerca dei “traditori”, l’Occidente che si finge progressista guarda dall’altra parte. Nessun appello, nessun “fermate il massacro”, nessuna attrice che si metta a piangere a favore di Instagram.
Certo, non conviene e non rientra nel quadro che si sono malamente dipinti questi quattro straccioni. Perché di questo si tratta: quattro straccioni, niente di più. Là dove la paura governa, Hamas non ha bisogno di nemici: li trova in casa. E qui da noi, dove la paura è di pensarla da soli, nessuno trova il coraggio di dirlo.
I morti sbagliati di Gaza
I morti sbagliati di Gaza
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