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«I frutti del 7 ottobre»: il premio al massacro che l’Occidente si prepara a consegnare a Hamas

«Perché oggi tutti riconoscono lo Stato palestinese? Prima del 7 ottobre nessuno lo faceva. Ora sì. Questi sono i frutti dell’operazione». Firmato: Ghazi Hamad, Hamas.

Daniele Scalise

Tempo di Lettura: 3 min
«I frutti del 7 ottobre»: il premio al massacro che l’Occidente si prepara a consegnare a Hamas

Non un’analisi di parte israeliana. Non un attacco della destra occidentale. Ma la voce diretta del gruppo terrorista che il 7 ottobre ha macellato civili, bruciato intere famiglie, decapitato bambini, stuprato donne e sequestrato decine di ostaggi. E che ora, con la massima serenità, presenta il proprio capolavoro di sangue come un successo geopolitico.

Ghazi Hamad, classe 1964, volto storico dell’apparato ideologico di Hamas, ex direttore del giornale del movimento (al-Risala) e già vice ministro degli Esteri a Gaza, non lascia spazio a equivoci. In un’intervista ad Al Jazeera del 2 agosto, rivendica apertamente ciò che in ogni democrazia civile dovrebbe bastare a mettere fuorilegge un’organizzazione: «Abbiamo dimostrato che la vittoria su Israele non è impossibile. Le nostre armi sono simbolo dell’onore palestinese. Senza, nessuno ci avrebbe ascoltati».

E qui scatta la trappola morale. Perché mentre i corpi degli ostaggi si consumano nei tunnel di Gaza, mentre Hamas continua a lanciare razzi e a rifiutare ogni disarmo, l’Europa e altri Paesi occidentali si avvicinano a passi spediti al riconoscimento unilaterale di uno Stato palestinese. Tempismo perfetto e messaggio chiaro: la violenza paga.

Anche uno studentello alle prime armi con il diritto internazionale saprebbe spiegare che riconoscere ora e in queste condizioni uno Stato palestinese sarebbe un errore storico. E tragico. Per almeno tre motivi.

Primo: sarebbe inequivocabilmente un premio alla bottega di quei macellai di Hamas. Se un movimento jihadista armato, antisemita, dichiaratamente contrario alla soluzione a due Stati, riesce a ottenere riconoscimento internazionale dopo aver massacrato 1200 persone, la lezione è semplice: il terrorismo funziona. Hamad lo sa e lo dice apertis verbis.

Secondo: è una farsa giuridica. Secondo il diritto internazionale (basta una sbirciatina alla Convenzione di Montevideo), uno Stato esiste se ha un territorio definito, un governo sovrano e la capacità di relazioni esterne. Peccato che Gaza sia ancora sotto il controllo di Hamas, la Cisgiordania dell’Autorità Palestinese pur se debole e delegittimata, i confini contesi, la sovranità un’illusione. In pratica, si riconoscerebbe uno «Stato» che non esiste.

Terzo — e non proprio trascurabile —: Macron, Starmer e compagnia assesterebbero una coltellata al diritto. Gli Accordi di Oslo, ancora formalmente in vigore, prevedono che lo status finale dei Territori Palestinesi sia deciso da negoziati diretti con Israele, e un riconoscimento unilaterale li violerebbe apertamente. Per non dire che creerebbe un precedente: se bastano stupri e stragi per spingere la diplomazia a piegarsi, chi sarà il prossimo ad alzare il tiro?

Dietro la retorica del «riconoscimento per la pace» si nasconde un’ipocrisia colossale. Nessuno chiede a Hamas di disarmare, di rinunciare al jihad, di restituire gli ostaggi. Nessuno pretende elezioni libere nei Territori, né un’autorità unificata, né una minima accettazione dell’esistenza di Israele. Niente. L’unica cosa che conta è “far qualcosa”. Anche fosse un errore irreparabile.

La verità è che questo riconoscimento non rafforza i moderati, li umilia. Non avvicina la pace, la allontana. E non salva i palestinesi, li inchioda al potere di un gruppo fondato sul culto della morte. Ghazi Hamad lo sa. Noi fingiamo di no.


«I frutti del 7 ottobre»: il premio al massacro che l’Occidente si prepara a consegnare a Hamas
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