C’era una volta la satira. Poi arrivò Enzo Iachetti. In diretta televisiva, con Bianca Berlinguer che annuisce come un metronomo gentile e Sigfrido Ranucci immobile come un bronzo di Botero, l’ex volto del “gabibbo morale” decide di esibirsi in un numero da cabaret vecchio come il pregiudizio: i “sionisti ebrei che controllano le banche svizzere”. Il bello – si fa per dire – è che Iachetti, con aria da perseguitato illuminato, pretende pure l’immunità preventiva: “Non mi chiamate antisemita”. Non serve. Le parole bastano da sole a definirlo.
Che la scena si svolga davanti a due conduttori professionisti che non trovano di meglio che tacere – anzi, la signora Berlinguer approva con gesti educati – dice molto più di lui. Il silenzio televisivo non è più neutralità, è complicità in differita. E mentre lo Iachetti da prima serata rispolvera le battute del peggior dopoguerra, il pubblico assiste distratto, come se l’ebreo “che controlla le banche” fosse solo una gag innocua.
Ma ogni volta che una caricatura così passa in salotto senza contraddittorio, la storia fa un passo indietro.
I comici del pregiudizio
I comici del pregiudizio
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