La lettera dei 40 ex ambasciatori, che intima al governo italiano di riconoscere sic et simpliciter lo Stato di Palestina, costituisce a nostro avviso una forzatura di cui si poteva fare volentieri a meno. Per dirla con i Latini: est modus in rebus.
Era legittimo attendersi un testo che esprimesse dissenso, persino indignazione, per come la guerra è stata condotta da Netanyahu negli ultimi mesi. Chiariamoci: quella del 7 ottobre ha reso inevitabile un conflitto per ristabilire la deterrenza. Si tratta di una guerra dura, durissima, ma non di un genocidio. Detto ciò, essa ha assunto caratteristiche — come il blocco dei rifornimenti alimentari — che si sono rivelate al tempo stesso inaccettabili e controproducenti. Anche considerando che Hamas ha sistematicamente sequestrato gli aiuti per lucrarci o per rafforzare il consenso interno, evocare il rischio carestia impone comunque la massima cautela e responsabilità.
Era quindi plausibile, insieme alla condanna per il blocco, formulare l’auspicio di una soluzione a due Stati. Ma i nostri 40 ambasciatori non si sono fermati lì. Pur conoscendo tutte le technicalities dell’argomento, hanno intimato al governo italiano di riconoscere formalmente lo Stato di Palestina. Di grazia: dove si trova questo Stato? Quale governo lo rappresenta? Quale esercito, quale Costituzione ha? Nessuno è in grado, allo stato attuale, di fornire risposte fondate a queste domande.
In una situazione già caotica all’interno della stessa popolazione palestinese, il rischio concreto è quello di accreditare Hamas — seppur ridimensionata — come componente politica fondamentale del futuro Stato. Ne deriverebbe una struttura istituzionale con dentro una milizia politico-militare che mantiene intatti tutti i presupposti della conflittualità precedente. Inclusa la possibilità di nuove stragi, come quella del 7 ottobre. E si cancellerebbe con un tratto di penna quanto accaduto in questi mesi.
Un vero capolavoro diplomatico, dunque, quello di questi 40 «tecnici raffinati».
Ma la questione, purtroppo, non finisce qui. È ancora più grave. Nel momento in cui i 40 ambasciatori compiono questa sortita, invocando valori universalmente condivisibili, non colgono nemmeno l’occasione per esprimere solidarietà a uno Stato sovrano come l’Ucraina, da tre anni aggredito dalla Russia di Putin in spregio a ogni norma internazionale — già violata con l’annessione della Crimea.
L’adozione di due pesi e due misure è clamorosa: da una parte si sollecita il riconoscimento di uno Stato inesistente; dall’altra si ignora l’aggressione armata in corso contro uno Stato europeo esistente. Una simile asimmetria pone seri interrogativi sulle motivazioni di fondo di una disattenzione così marcata da parte di persone esperte su ogni dettaglio delle relazioni internazionali.
Non vogliamo buttarla in politica, come invece hanno fatto loro. Ma abbiamo buona memoria. E ricordiamo bene come la Farnesina non sia mai stata un ambito completamente neutrale. In essa hanno sempre operato tendenze e correnti. Fortissimo, da decenni, è il partito “pro-Pal”. Ma ancor più radicato, anche per storia e cultura, è il cosiddetto “partito russo”: prima comunista, oggi apertamente putinista. Lo sa benissimo quell’ambasciatore che fu capo di gabinetto quando Giuseppe Conte era presidente del Consiglio.
On. Fabrizio Cicchitto
Presidente ReL – Direttore di Civiltà Socialista
I 40 ambasciatori, lo Stato che non c’è e le due misure sull’Ucraina I 40 ambasciatori, lo Stato che non c’è e le due misure sull’Ucraina I 40 ambasciatori, lo Stato che non c’è e le due misure sull’Ucraina