La paura (di Hamas) corre sul filo. Solo che il filo non si vede. Il gruppo terroristico è inatti in allarme permanente. Dopo anni passati a muoversi in capitali straniere con la sensazione di essere intoccabile sotto l’ombrello diplomatico di Qatar, Turchia e Iran, la leadership del gruppo scopre adesso che nessun luogo è davvero sicuro. L’uccisione a fine novembre del comandante di Hezbollah Haytham Ali Tabatabai, colpito con una precisione che ha fatto tremare più di una cancelleria, ha riacceso tra i dirigenti di Hamas una fifa blu: Israele può colpire ovunque. E lo farà di nuovo.
Lo raccontano funzionari del movimento al quotidiano saudita Asharq al-Awsat: Hamas ha elaborato nuove linee guida di sicurezza per evitare un altro attacco mirato fuori dai territori palestinesi. Non si tratta di raccomandazioni generiche ma di un vero manuale di sopravvivenza, redatto dopo lo strike di settembre a Doha, quando un edificio usato dai leader del movimento venne devastato. Da allora, la leadership vive ogni stanza, ogni corridoio, ogni ascensore come un possibile punto di accesso dell’intelligence israeliana. Camminano guardandosi continuamente alle spalle, poi alzano gli occhi al soffitto, poi ai piedi, poi di lato. Il pericolo potrebbe annidarsi dovunque e questo li sta letteralmente facendo uscire di testa.
Le nuove regole sono diventate molto rigide. I telefoni devono restare a non meno di settanta metri dai luoghi di incontro e lo stesso principio vale per dispositivi elettronici o medici: smartwatch, tablet, dispositivi WiFi. La semplice ragione è che anche da spenti possono essere dei detonatori. E secondo Hamas, i servizi israeliani sanno perfettamente come trasformarli in microfoni o trasmettitori. L’ossessione per lo spionaggio prende forme quasi paranoiche: controllare costantemente gli ambienti, verificare che nessuna telecamera sia stata piazzata da personale delle pulizie, tecnici, o perfino membri della cerchia più stretta. Una pulizia dell’aria più che delle stanze.
Il documento interno, riportato dal quotidiano saudita, parla apertamente di un mosaico di strumenti usati da Israele che sembrano uscire da un romanzo di Daniel Silva: fonti umane a più livelli, telefoni tracciabili, condizionatori trasformabili in sensori di movimento, schermi intelligenti che inviano dati, dispositivi che “contano” il numero di persone in una stanza. Alcuni di questi elementi sono tecnologia comune; altri appartengono al mondo più nebuloso delle capacità avanzate di intelligence. Per Hamas, sono tutti reali. E tutti potenziali killer.
In cima alle preoccupazioni non c’è soltanto la memoria del raid di Doha: c’è un precedente molto più profondo, che ha cambiato l’architettura di sicurezza del movimento. L’eliminazione nel 2024 di Saleh al-Arouri, colpito in pieno centro a Beirut; l’uccisione dell’ex capo dell’ufficio politico Ismail Haniyeh a Teheran; ora l’operazione chirurgica che ha eliminato Tabatabai. Tre colpi in tre capitali “amiche”, tre messaggi inequivocabili che spiegano che la geografia non protegge, e la protezione degli alleati non è un giubbotto antiproiettile.
Nonostante gli impegni formali presi da Washington verso i mediatori — Qatar, Turchia, Egitto — dopo lo strike di settembre, Hamas continua a ripetere la stessa frase: «Non ci fidiamo». Una sfiducia che cresce con l’avvicinarsi della seconda fase del patto su Gaza, che Israele avrebbe tutto l’interesse a disturbare, secondo i dirigenti del movimento. Il sospetto è il vero carburante del gruppo: la convinzione che un altro attacco mirato possa arrivare in qualsiasi momento, magari in un Paese non arabo.
In questo scenario di panico disciplinato, le nuove linee guida non sono un atto amministrativo ma il segnale di un’organizzazione terrorista che vive nel terrore. Un movimento che ha costruito la propria forza sulla clandestinità adesso teme ogni porta, ogni antenna, ogni dispositivo lasciato su un tavolo. E mentre Hezbollah piange Tabatabai, e i corridoi di Doha ricordano l’esplosione di settembre, Hamas si barrica dietro protocolli sempre più rigidi.
La guerra invisibile continua. E la leadership del gruppo sa di essere l’obiettivo e proprio laddove meno se lo aspetta.
Hamas. La paura corre sul filo (invisibile)
Hamas. La paura corre sul filo (invisibile)

