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“Guerra alla cabina di regia del terrorismo, e ora Teheran può implodere”, l’analisi di Maurizio Molinari

Aldo Torchiaro

Tempo di Lettura: 8 min
"Guerra alla cabina di regia del terrorismo, e ora Teheran può implodere", l'analisi di Maurizio Molinari

L’attacco israeliano allontana l’Iran dall’atomica e scuote il potere degli ayatollah ma Teheran risponde con una strategia basata sulla volontà di fare stragi di civili nello Stato ebraico, per questo c’è anche un rischio attentati nel mondo”. Ad affermarlo è Maurizio Molinari, giornalista e scrittore, già direttore di Repubblica e Stampa, sottolineando come “il Medio Oriente è una regione dove il tempo della guerra spesso convive con quello della pace”. E dunque le sorprese non possono mai escludersi

Israele ha colpito i principali impianti nucleari iraniani con l’obiettivo di smantellare il programma atomico di Teheran. Quanto è realistico pensare che questa “strada nel cielo verso Teheran” possa avere successo nei tempi previsti, senza sfociare in una guerra regionale su larga scala?

“È presto per dirlo ma la valutazione di Washington sui danni arrecati agli impianti di Natanz e Isfahan avvalora l’analisi israeliana. Senza di loro, il programma nucleare è bloccato. Inoltre, l’eliminazione di un numero importante di scienziati priva Teheran del “know-how” per un certo periodo di tempo. Certo, gli impianti sono molti di più e alcuni, come Fordow, sembrano difficili da attaccare ma il controllo dei cieli, ottenuto da Israele eliminando le difese anti-aeree, è comunque il fattore decisivo perché consente flessibilità nei tempi di azione. Il programma nucleare iraniano non è mai stato così indebolito, vulnerabile, da quando Teheran ha iniziato a realizzarlo. La bomba degli ayatollah oggi è più lontana rispetto a quando, appena pochi giorni fa, l’Agenzia atomica dell’Onu lanciò l’allarme sull’accelerazione nucleare dell’Iran”.

Cosa c’è dietro l’eliminazione dei vertici militari e di intelligence iraniani da parte di Israele?

“C’è la volontà di indebolire il sistema di potere dei Guardiani della rivoluzione spina dorsale della Repubblica islamica. I Guardiani rispondono solo ad Ali Khamenei, costituiscono uno Stato dentro lo Stato, guidano il programma nucleare, il sistema balistico, le operazioni contro Israele ovunque nel mondo e la repressione interna contro donne, giovani e dissidenti. Colpendoli, Israele non solo elimina il suo peggior nemico ma priva la Repubblica islamica del suo pilastro più strategico. Da qui gli appelli del premier Netanyahu agli iraniani per liberarsi dell’autocrazia degli ayatollah”.

Ritiene possibile un cambio di regime a Teheran? I festeggiamenti dei giovani iraniani contro i pasdaran, le diserzioni, le fughe dei gerarchi e gli appelli di Reza Pahlavi sembrano disegnare uno scenario inedito. Quanto è credibile che l’implosione della Repubblica islamica possa oggi diventare uno degli esiti concreti del conflitto in corso?

“E’ uno scenario sulla carta difficile, perché non esiste ancora a Teheran una leadership alternativa agli ayatollah. Ma non può essere escluso. Come gli Hezbollah sono implosi in Libano sotto i colpi militari di Israele, così potrebbe avvenire per la Repubblica Islamica. Anche perché il movimento di protesta innescato dalla rivolta delle donne contro l’imposizione del velo ha dimostrato l’incapacità del regime di mantenere un rigido controllo sul Paese”.

L’Iran ha risposto con attacchi missilistici su centri abitati israeliani. Quanto è concreta la possibilità che la strategia di Teheran sia quella di provocare deliberatamente un alto numero di vittime civili per forzare un cessate il fuoco e guadagnare una posizione di forza diplomatica?

“Teheran sta cercando di fermare Israele causando danni ingenti alla popolazione civile. E’ una strategia feroce che potrebbe estendersi all’abbandono del Trattato contro la proliferazione nucleare, per minaccia l’uso di una bomba sporca. Come potrebbe portare anche ad attentati terroristici in Europa o altrove, contro obiettivi israeliani o ebraici. Il regime degli ayatollah è ferito, sa che il tempo gli gioca contro, ed è disposto a tutto per tentare di sopravvivere. Riuscire a mostrarsi feroce serve anche a puntellare ciò che resta del traballante controllo sull’Iran”.

Uno scenario possibile, per ora solo ipotetico, è il ritorno di Teheran al tavolo negoziale con Washington. Quali sarebbero, secondo lei, le condizioni minime perché ciò avvenga? E quanto conta oggi, in questo quadro, la volontà politica di Donald Trump rispetto agli equilibri di potere interni all’Iran?

“Il nodo è l’arricchimento dell’uranio. Gli Stati Uniti hanno messo come condizione che l’Iran vi rinunci accettando, come possibile compromesso, il trasferimento dei suoi impianti in un altro Paese. Ad esempio, la Russia. Anche perché fu Putin a proporre qualcosa di simile proprio durante i negoziati fra Usa e Iran durante l’amministrazione Obama. La pressione militare israeliana serve a spingere Khamenei verso questo compromesso con Trump. Ma per Khamenei è un calice assai amaro perché Khomeini ha sempre sostenuto che l’Iran non avrebbe mai dovuto rinunciare, in alcuna maniera, al pieno controllo sulle centrifughe che sono il cuore stesso del programma nucleare”.

L’ambasciatore israeliano Jonathan Peled ha parlato di un possibile nuovo “7 ottobre pianificato da Hamas, Hezbollah e Houthi con il sostegno diretto dell’Iran. Una strategia coordinata di invasione terrestre da tre fronti. Questa ricostruzione è credibile o si tratta di una narrativa preventiva israeliana?

“Il 7 ottobre 2023 Israele ha subito un feroce attacco a sorpresa ed è naturale che teme possa ripetersi, in forme e modalità più gravi. Anche dopo la Guerra del Kippur del 1973 la strategia militare venne modificata, per motivi analoghi. In particolare, Israele teme che gruppi terroristici presenti lungo i suoi confini possano, con tunnel o altri mezzi, aggredirla ancora, in profondità. Questo è il motivo per cui sta creando delle zone cuscinetto lungo i propri confini: nel Libano del Sud, nel Sud della Siria, nella Striscia di Gaza ed anche nella zona della West Bank attorno a Tulkarem perché dista solo pochi km da Natanya. Queste zone cuscinetto sono destinate a rimanere per scongiurare il rischio di nuovi attacchi a sorpresa. Potrebbero però non essere più necessarie in Libano e Siria se questi Paesi aderissero agli Accordi di Abramo”.

Si può pacificare realmente la Striscia di Gaza, o rendere più sicuro il Medio Oriente, se non si risale alla fonte del sostegno logistico, economico e militare al terrorismo di Hamas, Hezbollah e degli Houthi, ovvero il regime iraniano?

“Non tutto il Medio Oriente vive nello stesso tempo storico. Pace e guerra convivono a volte a breve distanza. Fra Israele e Iran è in corso una guerra feroce. Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti sono partner di Israele nella realizzazione della “Via del Cotone” che unirà India, Europa e Stati Uniti. Siria e Libano stanno negoziando in segreto la normalizzazione dei rapporti con Israele. E il tassello più debole è l’Autorità nazionale palestinese perché, dopo il 7 ottobre, deve ricostruire da zero la fiducia reciproca con Israele, basata sugli Accordi di Oslo de 1993. Bisogna inquadrare il dopoguerra a Gaza in tale cornice: è inevitabile per Israele porre come condizione la fine della presenza di Hamas. La strada per arrivarci sono le operazioni umanitarie, coordinate dalle ong americane, perché la sconfitta militare inflitta da Israele non basta: è necessario togliere a Hamas il controllo del territorio che si basa, come per tutti i gruppi jihadisti, sulla distribuzione del cibo e di ogni sorta di servizi sociali. Da qui l’importanza dei centri di distribuzione di aiuti realizzati dalla Fondazione umanitaria di Gaza e l’importanza che i Paesi europei li sostengano e rafforzino. Per consentire alla popolazione civile, che ha subito così tante vittime e sofferenze dalla guerra, di emanciparsi da Hamas”.

Durante le recenti manifestazioni per il Pride in Italia, si sono sentiti cori contro i partecipanti LGBTQ+ ebrei con la stella di Davide, accusati di essere “assassini”. Una contraddizione enorme, considerando che i peggiori persecutori degli omosessuali sono proprio i fondamentalisti islamici e, in particolare, i Guardiani della rivoluzione iraniani, acerrimi nemici di Israele. Che lettura dà di questo paradosso?

“Questi cori sono espressione di un’intolleranza contro gli ebrei che nasce dalla divulgazione di due bugie: il “genocidio” e la “pulizia etnica” di cui si incolpa Israele a Gaza. Purtroppo, queste parole sono state pronunciate anche dal palco del 7 giugno a Roma. Sono bugie create, nel corso degli ultimi venti anni, da Hamas e dall’Iran per delegittimare l’esistenza stessa di Israele e trasformare l’antisionismo in un’intifada globale che aggredisce chiunque ha un qualsiasi legame con Israele. Dunque, ogni ebreo. Inclusi i partecipanti al Pride di Roma. La storia dell’antisemitismo ci insegna che l’odio si nutre di bugie, che oggi i social moltiplicano. E di fronte alle bugie l’unica risposta possibile è smentirle, senza alcuna concessione. Come hanno fatto gli ebrei per ben 1965 anni nei confronti del deicidio”.
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