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⌥ Gli amici degli ebrei morti

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Ogni novembre torna il rito. Le candele per Rabin, le parole di pace sussurrate da chi, in vita, non lo avrebbe neppure salutato. L’eroe della riconciliazione, l’ebreo buono, quello che serve per sentirsi dalla parte giusta senza correre rischi. Quanto sono generosi, gli amici degli ebrei morti. Più l’ebreo è morto, più lo amano. E se a ucciderlo è stato un altro ebreo, tanto meglio: il dramma è completo, la coscienza pulita.

Quel che fingono di non sapere – o sanno benissimo – è che Rabin, il militare diventato politico, avrebbe fatto esattamente ciò che fa oggi Israele. Se il 7 ottobre fosse stato lui a guidare il governo, avrebbe difeso il suo popolo, senza esitazioni, senza chiedere il permesso ai poeti del compromesso eterno. Avrebbe inseguito i carnefici di Hamas casa per casa, tunnel per tunnel, come fanno i suoi eredi.

Ma questo non rientra nella liturgia degli ammiratori postumi. Loro preferiscono la sua immagine addomesticata, il fantasma pacificato di un Paese che non esiste. Israele, invece, vive. E gli ebrei vivi non chiedono di essere amati: chiedono di non essere massacrati.

Si rassegnino, dunque, gli amici degli ebrei morti. Gli altri, quelli che respirano, non mollano.


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