Chi è
Uno dei più grandi ciclisti italiani di sempre, vincitore di tre Giri d’Italia e due Tour de France, ma soprattutto un uomo di una tenacia quasi ascetica. Toscano, cattolico praticante, carattere schivo, Bartali trasformò la bicicletta in un atto morale: pedalare non solo per vincere, ma per proteggere.
Percorso
Durante gli anni più oscuri del fascismo e dell’occupazione tedesca, tra il 1943 e il 1944, entrò nella rete clandestina che aiutava gli ebrei a fuggire o a nascondersi. Con la scusa degli allenamenti percorreva centinaia di chilometri tra Firenze, Assisi e altre città dell’Italia centrale, trasportando nelle tubature della bicicletta documenti falsi preparati dalla tipografia clandestina di Assisi. Fermato ai posti di blocco, chiedeva di non toccare la bici perché “era tarata al millimetro”: un trucco che gli permise di aggirare controlli e sospetti. Le sue consegne salvarono decine di famiglie. Non smise neppure quando venne convocato e interrogato dalla polizia fascista. Tornò a correre dopo la guerra, ma non disse nulla delle sue imprese clandestine.
Profilo
Silenzioso, inflessibile, refrattario alla celebrazione. Bartali era un uomo che non viveva per i riflettori, ma per una rigida idea del bene. Non parlava mai di ciò che aveva fatto, e quando gli chiedevano dettagli rispondeva con un motto ormai leggendario: “Il bene si fa, ma non si dice.” La sua fede, unita a una disciplina quasi monastica, lo rese un eroe suo malgrado..
Perché conta
Perché dimostra che il coraggio non è rumore, è ostinazione. In un’Italia che stava precipitando nella persecuzione razziale, Bartali scelse di rischiare tutto senza chiedere nulla. Nel 2013 è stato riconosciuto Giusto tra le Nazioni da Yad Vashem. Le sue pedalate non furono imprese sportive: furono linee di salvezza. Un atleta che, senza armi né proclami, ha restituito un pezzo di dignità al suo Paese.
Gino Bartali (1914–2000)
