Il Vaticano e i leader politici europei pongono sullo stesso piano la situazione a Gaza e quella in Ucraina. Ma si tratta davvero di due conflitti comparabili?
In Ucraina, il governo della Russia guidato da Vladimir Putin ha aggredito il Paese e la sua popolazione. A Gaza, invece, è stato il governo palestinese, guidato da Yahya Sinwar prima e dai suoi successori poi, ad aver aggredito brutalmente Israele. È solo l’ultimo atto di una lunga serie di aggressioni e attentati che si susseguono da oltre ottant’anni.
A differenza dell’Ucraina, la popolazione di Gaza ha apertamente approvato l’attacco del 7 ottobre, organizzando manifestazioni di gioia. Non solo: fino a oggi, non ha compiuto alcun gesto per costringere il proprio governo a liberare gli ostaggi rapiti quel giorno. È evidente che la liberazione degli ostaggi sarebbe la chiave per l’interruzione dei bombardamenti, ma nulla è stato fatto. Non è pensabile che centinaia di migliaia di persone non siano state in grado di opporsi a un manipolo di terroristi armati. La verità più probabile è che, al di là delle difficoltà, la popolazione continui ad approvare le azioni di Hamas, identificandosi con il governo della Striscia. In sostanza, i civili si sono resi – e si rendono tuttora – complici di Hamas.
Che dire, allora, dei governi europei? Sono rimasti a guardare, senza richiamare l’ONU ai suoi doveri e senza sostenere la popolazione civile nella ribellione. Di fatto hanno atteso che il «lavoro sporco» – parole della Germania – fosse compiuto da Israele, rendendosi così complici a loro volta del governo di Gaza. Alcuni di questi Paesi hanno perfino annunciato il riconoscimento imminente dello Stato palestinese, ben sapendo che l’attuale governo, dominato da Hamas, non ha alcuna intenzione di rinunciare al potere.
Ma lo scenario è ancora più ampio. All’interno del mondo islamico – rappresentato soprattutto dall’Iran degli Ayatollah – esiste una corrente che mira a riprendere la corsa della jiyād interrotta con la disfatta di Granada del 1492. Hamas ne è la testa di ponte. Può sembrare un discorso anacronistico, ma l’analisi delle dinamiche sociali nei vari Paesi europei mostra che il pericolo della nuova Reconquista non è affatto teorico. Le armi oggi sono diverse, ma come scrisse mio fratello Samuel Bahbout nel suo libro 18 racconti brevi, ci sono tracce evidenti di una diffusione deliberata e inarrestabile dell’Islam in Europa.
Un Islam moderato, capace di rigettare la jiyād e di dichiarare che ebrei e cristiani non sono dhimmi – cioè esseri inferiori – non è ancora all’orizzonte.
Tutto avviene formalmente nel rispetto della legge, senza violenza. E l’Unione Europea, che si è sempre rifiutata di inserire esplicitamente nelle proprie leggi il riferimento alle radici «giudaico-cristiane», sembra cieca di fronte a quanto accade. Forse è giunto il momento di riconsiderare quelle radici, soprattutto alla luce del fatto che molti Paesi guidati da leader islamici hanno perseguitato gli ebrei che non hanno accettato il Corano, bruciato chiese e assassinato fedeli cristiani.
È tempo che l’Unione Europea e i suoi Stati membri prendano atto della gravità della situazione. È tempo che anche i musulmani moderati si uniscano per invertire questa tendenza. Occorre iniziare un nuovo periodo: non più educazione all’odio, ma all’amore verso il prossimo, come scritto nel Levitico, rivolto a ogni essere umano, e in particolare agli ebrei, che per primi lo hanno insegnato.
Gaza Ucraina e il silenzio europeo: l’Occidente complice di Hamas? Gaza Ucraina e il silenzio europeo: l’Occidente complice di Hamas? Gaza Ucraina e il silenzio europeo: l’Occidente complice di Hamas?